L'Editoriale
Lunedì 04 Marzo 2024
Italia, il lavoro oltre gli spot
ITALIA. Qual è la situazione del lavoro in Italia? È possibile farsi un’idea sintetica e realistica della situazione, andando al di là dell’aneddotica personale, e districandosi nell’«overload informativo», cioè il «sovraccarico» di contenuti e informazioni cui i media ci espongono, tra dati e annunci e propaganda politica?
Iniziamo chiedendoci quanti sono i lavoratori nel nostro Paese. Secondo l’Istat, a gennaio 2024 erano 23 milioni e 738mila. Tanti o pochi? Tanti, per i nostri standard. Si pensi che a inizio 2008, quando eravamo ancora alla vigilia del crack di Lehman Brothers e della crisi finanziaria globale, gli occupati erano 23 milioni, dunque 700mil in meno rispetto a oggi. La crisi finanziaria americana poi si trasformò in una lunga crisi dei debiti sovrani nel nostro continente, danneggiando gravemente l’economia reale. Nell’estate 2013, gli occupati scesero a 21,8 milioni. Per tornare a quota 23 milioni abbiamo dovuto attendere l’inizio del 2020. A febbraio di quell’anno però iniziò a diffondersi la pandemia da Covid. Seguirono lockdown e fallimenti, gli occupati diminuirono fino a 22 milioni nell’estate di quell’anno. Poi la ripresa, relativamente rapida, fino al record attuale di 23,7 milioni di lavoratori. L’andamento della disoccupazione è in linea di massima coerente con la dinamica descritta finora: i disoccupati in Italia erano 1,5 milioni alla vigilia della crisi del 2008, poi sono aumentati a 3,2 milioni nel 2014 dopo la crisi dell’euro, infine sono ridiscesi a 1,8 milioni oggi.
La crescita degli occupati è rilevante, specie se valutata rispetto alla situazione demografica italiana. Ne discendono due considerazioni, una positiva e una decisamente allarmante. È positivo l’aumento del tasso di occupazione, cioè del rapporto percentuale tra occupati e popolazione di riferimento in età da lavoro (15-64 anni). Nel gennaio scorso, il tasso di occupazione ha fatto segnare il 61,8%, più 0,8% da un anno fa, e addirittura più 6% dagli anni post-crisi del debito. Vuol dire che nel nostro Paese, fortunatamente, ci sono sempre più possibilità per donne lavoratrici e adulti. C’è ancora spazio per migliorare, l’obiettivo di Agenda 2030 (78%) è lontano, ma i progressi sono indiscutibili. La considerazione più allarmante è che perfino questa maggiore partecipazione degli Italiani al mercato del lavoro già non è sufficiente, in alcune fasce d’età, a disinnescare il calo demografico in corso.
Nell’ultimo anno, per esempio, il tasso di occupazione dei 35-49enni è aumentato dello 0,4% ma il numero di lavoratori dello stesso intervallo d’età è diminuito di oltre 100mila unità, arrivando a 8milioni 759mila. Vent’anni fa, nel 2004, i lavoratori 35-49enni erano 9,7 milioni, dunque un milione in più di oggi. Nella fascia 25-34 anni, gli occupati sono passati da 6 milioni nel 2004 a 4,2 milioni oggi. I nostri giovani lavoratori sono sempre meno numerosi, e presto – se la natalità non invertirà la rotta - i lavoratori di tutte le età saranno sempre meno numerosi. Il rischio di una riduzione della crescita potenziale del Paese si fa concreto.
In ogni caso, di che tipo di lavoratori parliamo? Certo più istruiti e formati, altro fatto di cui rallegrarsi. Oggi, per esempio, i 25-34enni con un educazione terziaria sono appena sotto il 30% del totale; alla metà degli anni 2000 erano al di sotto del 20%. La media dell’Eurozona (43%) è distante, ma ben più vicina di un tempo. Quanto al tipo di contratto, nell’ultimo anno, sono aumentati soprattutto gli occupati con contratto a tempo indeterminato (+373mila) e gli autonomi (+22.000), mentre sono diminuiti i dipendenti con contratto a termine (-33mila). E di quali stipendi parliamo? Altro tasto dolente: negli ultimi anni le retribuzioni in Italia si sono mosse al di sotto di quelle dei grandi Paesi europei, complice un andamento della produttività tutt’altro che esaltante. I salari sono stagnanti soprattutto nel settore dei servizi, anche a causa di molti contratti in attesa di rinnovo. Senza contare che negli la recente fiammata inflazionistica ha ridotto ulteriormente il potere d’acquisto per milioni di italiani. Risultato: negli ultimi dieci anni, la percentuale di lavoratori «poveri» è rimasta stabilmente attorno all’11-12%.
In estrema sintesi, un miglioramento della situazione del mercato del lavoro nel nostro Paese è innegabile, ma restano almeno due nodi irrisolti - stipendi e produttività - e un’enorme incognita non più all’orizzonte, bensì a un palmo dal nostro naso: la demografia.
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