Italia e Francia divise dall’Unione europea

MONDO. L’incontro informale di Parigi, in occasione delle Olimpiadi, non è certamente servito a eliminare i contrasti emersi nei rapporti tra la premier Meloni e il presidente Macron.

La ragione principale è che da tempo stanno giocando la partita della nuova «governance Ue» da due prospettive diverse e con obiettivi decisamente divergenti. La leader di Fratelli d’Italia, come capo del Conservatori europei, approfittando anche della crescita delle forze di destra, mira ad affermare la sua visione di un’Europa confederale, che ha avuto in passato come principale ispiratore Charles De Gaulle. Questa prevede il ridimensionamento del Parlamento e l’assegnazione di un ruolo centrale al Consiglio dei Capi di Stato, al quale i vari Stati possano demandare volta per volta il compito di affrontare questioni di comune interesse, mantenendo il diritto di veto su molte decisioni.

Macron - che con popolari, socialisti, liberali e verdi ha fortemente contribuito all’elezione di Ursula von der Leyen come presidente della Commissione - è impegnato a contrastare questa visione. Suo intendimento è quello di far compiere un ulteriore passo avanti al progetto europeo nella direzione dello «Stato federale». Sarà ora interessante verificare quali saranno le posizioni che Giorgia Meloni andrà ad assumere nei prossimi mesi di fronte alle più importanti decisioni della Commissione. A differenza dei «Patrioti», si è infatti mostrata disponibile, dopo le vicende dell’Ucraina, alla costituzione di un esercito comune europeo che presuppone una comune politica estera, aspetti questi che fanno pensare a un ulteriore passo in avanti verso una qualche forma di Stato in Europa. Per altro verso, non si può non rilevare che i contrasti tra Meloni e Macron prendono anche spunto da alcune manifestazioni di protervia di quest’ultimo, riconducibili alla stereotipata ma mai desueta «Grandeur francese». Del resto, nella storia dei rapporti tra i governi italiani e francesi, non sono pochi i casi un cui queste manifestazioni di potenza si sono manifestate causando gravi contrasti. Come non ricordare che Napoleone tra il 1796 e il 1814, durante la campagna militare francese, fece incetta delle opere più importanti delle collezioni italiane per arricchire il Museo del Louvre? Ancora, nel 1881, quando venne costituito il protettorato della Tunisia, la Francia fece man bassa dei diritti di circa 22 mila italiani.

Quando era presidente del Consiglio (1887-1891) Francesco Crispi, indignato verso i caricaturisti francesi che lo avevano ritratto nei panni del valletto che lucidava gli stivali di Bismarck, dichiarò alla Francia la guerra doganale. In anni assai più recenti del tutto incomprensibile si è dimostrato l’attacco alla «Nutella», che ha visto l’ex ministro dell’Ecologia Segolène Royal invitare i francesi a non mangiare più la crema spalmabile dell’italiana Ferrero, perché la sua produzione comportava l’utilizzo di olio di palma e la conseguente deforestazione massiccia, che è alla base del riscaldamento climatico. Dopo la circostanziata replica dell’azienda, che si disse «impegnata a sostenere la creazione di filiere sostenibili» e la dura reazione del governo italiano, giunsero le scuse della Segolène. Un vero e proprio colpo più basso assestato dalla Francia a un nostro governo è poi certamente rappresentato dalla guerra promossa dall’allora presidente Nicolas Sarkozy contro la Libia di Muammar Gheddafi, giustificata dalla necessità di rimuovere il dittatore, ma mossa soprattutto dalla segreta intenzione di soffiare all’Eni i permessi estrattivi dell’oro nero libico. L’esistenza di questo secondo fine è stata confermata dal contenuto di una mail scambiata tra Hillary Clinton, ex Segretario di Stato Usa e Sarkozy, pubblicata a suo tempo da WikiLeaks.

Molto lunga, quindi, è la storia di contrasti che hanno contraddistinto i rapporti tra Francia e Italia, anche se non sono mancati momenti di grande sintonia. Da ricordare - proprio in questa attuale fase storica così ambigua e ad alta tensione - la sincera passione che ha legato a doppio filo De Gasperi e Schuman. Non solo perché parlavano la stessa lingua (il tedesco), ma perché avevano per i loro Paesi, che uscivano da due cruente guerre mondiali, la medesima speranza: l’unione dell’Europa.

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