Io, mamma malata di Sla: ascoltateci ed aiutateci

LA LETTERA. «Gentilissimi, ho deciso di scrivervi per dar voce a tutte quelle persone che come me sono malate di Sla, sperando che queste parole arrivino a più persone possibili, ma soprattutto alle istituzioni».

Inizia così la lettera di una mamma di 46 anni: «Ho 2 figli , un lavoro da impiegata che svolgo a metà perché la parte dell’archiviazione non riesco più a svolgerla. Ho ricevuto la diagnosi di Sclerosi laterale primaria, una variante rara di Sla, a gennaio 2023. A me e altri è toccata questa perfida malattia neurodegenerativa che non ci darà scampo, soprattutto perché non ci sono terapie».«Siamo costretti ad accettare la diagnosi e saremo costretti a vivere in un corpo che non riusciremo più a comandare: una galera dentro a noi stessi. Fin dagli esordi della malattia la vita ti viene stravolta. Nel mio caso, in meno di un anno ho perso progressivamente l’utilizzo dell’ intero arto superiore sinistro, con difficoltà nelle attività quotidiane. Mi sono quindi rivolta alle istituzioni per fisioterapia e invalidità. Per la prima hanno erogato 30 sedute, il massimo annuale consentito, poi sono stata gentilmente congedata: era il massimo che mi era concesso, non avevo diritto ad altro perché ancora camminavo e respiravo».«Mi sarei dovuta rivolgere privatamente a dei fisioterapisti. Fisioterapia continuativa neanche a parlarne... Non ero sufficientemente grave.Per l’invalidità a luglio mi è stato riconosciuto il 60% che non da diritto a granché. Nessun congedo, nessun cartellino disabili. Con un braccio fuori uso, devo essere accompagnata ovunque perché non posso guidare e non riesco nemmeno a togliere il portafoglio dalla borsa. Salire e scendere dalla macchina se il parcheggio è stretto era impossibile. Provare per credere, mi viene da ridere. Ci sono ripercussioni sull’equilibrio e dolori muscolari alla schiena. Ma per i criteri dell’Inps ciò non è contemplato. Ho una Sla e un handicap di grado lieve, secondo loro».

I problemi con l’avanzare della malattia

«La definizione neurodegenerativa ha un senso, infatti a metà agosto sono inciampata e ho rotto l’omero. Da lì attacchi di panico ansia e depressione che era già latente. Era la prima avvisaglia di un aggravamento. Nelle settimane successive ho iniziato ad avere impaccio alla gamba sinistra e infatti puntuale come un orologio svizzero è arrivata a novembre la seconda caduta con frattura dello sterno e in poche settimane mi trovo alla fine delle feste natalizie a camminare solo a braccetto di qualcuno e fatico a stare in piedi. Vedremo l’aggravamento dell’invalidità civile come andrà. Perché non ci viene riconosciuta da subito un’invalidità del 100%? Sono certa che siano stati applicati regolarmente i regolamenti. È proprio questo il problema, vanno rivisti. Siamo destinati a peggiorare. Tutto ciò premesso per spiegare alcune delle difficoltà per un malato di Sla fin dall’inizio del suo percorso. Poi la malattia avanza e i problemi aumentano e sento famiglie che fanno i salti mortali per assistere i propri malati a casa h24. Aiuti economici insufficienti, ausili insufficienti, aiuti assistenziali insufficienti, farmaci costosi necessari a pagamento. Però se le famiglie in Lombardia decidono di mandare il proprio caro in Rsa allontanandolo dalla propria casa e dagli affetti, allora è gratis. La vedo come una grande ingiustizia. Io ho 46 anni, vorrei vedere crescere i miei due figli adolescenti a casa e non in un ospedale. Perché non aiutarci a casa? Si sono letti sui giornali di tagli ai fondi per le disabilità gravissime e sono stati dettagliati i tagli. Si è anche detto che ci saranno degli aumenti nei servizi offerti alle persone con disabilità ma non sono stati altrettanto dettagliati questi servizi, il che preoccupa tanto. Speriamo che non siano le solite parole vane al vento».

L’appello

La mia, anzi la nostra, è una malattia non prevedibile, non prevenibile, incurabile, che ti toglie tutto: i movimenti, la capacità di movimenti, la capacità di mangiare, parlare e respirare. Non condannateci subito ma aiutateci: questo è quello che dovrebbe fare un Paese civile. Una mano sulla coscienza è ciò che chiedo e chiediamo alle istituzioni. Ci rivolgiamo a voi per ricevere aiuto e ci vediamo trattati da usurpatori che chiedono la carità. Non lo siamo. Fortunatamente ci sono associazioni come Aisla e Ibis che operano sul territorio di Bergamo ma le risorse sono limitate. Queste associazioni andrebbero ascoltate e supportate, sono risorse di cui condividere le finalità. Siamo persone condannate ad un destino amaro, ascoltateci ed aiutateci, in attesa che la ricerca scientifica ci offra qualche terapia efficace, fino ad ora sconosciuta. Grazie».

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