
(Foto di Colleoni)
IN CATTEDRALE. Il messaggio durante la Veglia pasquale. «Anche nelle notti e nelle Quaresime della nostra vita chiediamo a Dio la forza di cantare Alleluia»
Bergamo
È iniziata con la benedizione del fuoco all’esterno della Cattedrale la Veglia pasquale presieduta nella serata di sabato 19 aprile dal Vescovo Francesco.
Davanti al grande braciere si è aperto il rito che caratterizza la solenne celebrazione. Monsignor Beschi ha preparato il grande Cero pasquale che, una volta acceso al fuoco benedetto, è stato introdotto nella Cattedrale immersa nel buio. La luce delle candele sorrette dalle mani dei numerosi fedeli presenti ha rischiarato l’interno. Poi l’annuncio pasquale attraverso il canto di un antico inno. La Liturgia è proseguita con la lettura di cinque brani dell’Antico Testamento, quindi le parole di San Paolo ai Romani ai quali parla di una vita nuova nella luce della Risurrezione di Cristo. Gioioso e solenne il canto dell’Alleluia a cui è seguita la pagina del Vangelo di Luca che racconta dell’arrivo delle donne al sepolcro di Gesù e dell’annuncio di Risurrezione a loro affidato. Con il canto del «Gloria» si è sciolto il suono delle campane, rimaste mute nel Sabato Santo. Nell’omelia il Vescovo Francesco si è soffermato sul significato del vegliare. «Penso alle tante persone che vegliano di notte, a chi lavora, a chi è accanto ai malati nelle case e negli ospedali, ai genitori che attendono i loro figli, alle mamme e ai papà che proteggono i loro figli mentre forte è il sibilo di missili e bombe, penso a chi veglia i propri cari defunti».
Con profonda tristezza ha espresso il dolore della Diocesi che in queste ore veglia per la morte, nella giornata di sabato 19 aprile, di un suo sacerdote, don Paolo Polesana. «La Veglia pasquale che celebriamo possa diventare una luce che accompagna tutte le nostre veglie». Il Vescovo ha richiamato il Vangelo prima proclamato e il giungere delle donne al sepolcro. «Gli apostoli si sono addormentati, le donne no. La loro coscienza non si è addormentata perché era alimentata dal sentimento della compassione che è una passione senza limiti che condivide la sofferenza dell’altro. La nostra coscienza dorme quando siamo indifferenti e non ci curiamo dell’altro». Ha invitato ad «accogliere e gustare la sorpresa di quell’annuncio che proclama che Gesù è risorto». «Vegliare – ha proseguito il Vescovo – significa cercare e custodire la verità, non solo dei fatti, ma soprattutto della vita».
Monsignor Beschi ha ricordato come vegliare alimenti anche la speranza. «Forse non siamo più in molti a credere tutto questo, ma se siamo qui a celebrare la Pasqua è perché questa è la ragione della nostra irriducibile speranza. Alimentiamo le ragioni della nostra speranza, testimoniando e donandoci speranza a vicenda perché una luce si riaccenda nella nostra vita». Attesa e accoglienza abitano la veglia degli uomini. «Vegliare significa attendere e accogliere, significa dare le nostre mani e il nostro cuore a chi li attende».
Il Vescovo ha quindi ricordato una tradizione che si svolge nel Tempo quaresimale al Santo Sepolcro a Gerusalemme, che prevede che, nella sera di ogni sabato, dopo aver posato il Vangelo sulla pietra che ha accolto il corpo deposto di Gesù, si faccia risuonare il canto dell’Alleluia. «Si canta Alleluia anche in tempo di Quaresima, lì dove Gesù è risorto. Anche nelle notti e nelle Quaresime della nostra vita chiediamo a Dio la forza di cantare Alleluia con la bocca e soprattutto con la vita». Dopo l’omelia si è svolto il rito della benedizione dell’acqua con la processione dei concelebranti che ha raggiunto il Battistero, di fronte alla Cattedrale. Lì il Vescovo ha benedetto l’acqua del fonte che verrà utilizzata per i Battesimi. La celebrazione è proseguita con il rinnovo corale delle promesse battesimali da parte dell’assemblea. Monsignor Beschi ha percorso la navata centrale per aspergere i fedeli con l’acqua battesimale. Al termine il Vescovo ha rivolto ai presenti il suo augurio pasquale con il desiderio di raggiungere soprattutto chi vive un tempo di prova e di sofferenza.
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