Il prof. Caudano e la settimana trionfale del «gufo atalantino». Solo che poi... tutto si paga

storia. Il nuovo racconto di Stefano Corsi

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C audano gufa. Caudano gufa per svariati motivi, alcuni che non confessa neppure a se stesso. O forse che non ha nemmeno bisogno di confessarsi, tanto gli sono evidenti. Caudano gufa contro tutte le italiane in Europa. Se non con cieca furia, con fedele puntualità. Per ciascuna, partendo da presupposti diversi. Una volta per l’allenatore, una volta per il pubblico, una volta per quel giocatore, una volta per quell’altro, una volta perché dieci anni fa contro l’Atalanta, una volta per una dichiarazione in sala stampa, un’altra per un gesto in campo.

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Caudano, in ogni caso, gufa. E soprattutto, quale che sia la vittima di turno, gufa perché la sua squadra non vince mai. Gufa perché lui non vince mai. Gufa perché in quasi tutti gli stadi la gente grida che odia Bergamo o paragona il Bergamasco all’ambìto frutto di una buona digestione (come recitava un vecchio dizionario alla voce che è facile immaginare), ma senza che questo porti a sanzioni o si configuri come “discriminazione territoriale” (“devono esistere dei territori più territori di altri”, pensa a volte). Gufa per una sottile frustrazione che gli viene dalla vita e anche dal tifo per l’Atalanta, che, specie prima dell’era Gasperini, era un tifo bellissimo e romantico, ma lontano dalla ribalta, dal successo, dalla gloria.