S pesso, il professor Caudano si sveglia presto, prestissimo, prima dell’alba. Può capitare allora, se non piove, che esca a fare una passeggiata quando ancora la luna azzurra di sé il cielo sulle colline, e la Langa appare una sorta di scenario di fiaba. Il giro varia nel percorso, non nella durata. Dopo circa tre quarti d’ora, quando il sole appare ad Est mutando il colore dell’aria, e Claudio apre il suo bar, Elvio torna verso il paese e va alla sua colazione. Il momento è quasi di famiglia, ormai. E gli dà quel po’ di calore che per solito gli viene negato dal resto della sua giornata di solitario. Due chiacchiere, il cappuccio, la brioche, la cordialità vera di barista e amico e degli altri avventori, che per questo professore spuntato dal nulla e gentile con tutti, di una gentilezza antica, quasi anacronistica, provano istintiva simpatia. È un mercoledì dall’aria limpida e fredda. Gennaio, per fortuna, fa gennaio. La sera prima, l’Atalanta, manipolo di fantasmi graziati dalla sorte a Udine, è tornata vera e quasi se stessa , contro la Juventus. La giungla organizzata di Thiago Motta, per un tempo, ha solo confuso i nerazzurri. Poi, li ha anche colpiti con agguati taglienti, ma loro hanno reagito, e, ripensando al goal di Retegui, Caudano mentre passeggia rievoca la filosofia spiccia di Rocco, secondo la quale, per fare una squadra forte, servono un portiere che para, un assassino in difesa, un genio a centrocampo e un centravanti che segna. “Il portiere che para, anzi, che da qualche partita fa miracoli, lo abbiamo. Il centravanti che segna, c’è: è stato fuori un mesetto e, appena tornato, l’ha subito messa dentro, con un guizzo da attaccante vero e rimanendo capocannoniere nonostante lo stop. Per l’assassino in difesa, magari l’ideale era Romero, perché un titolo così è impossibile darlo a dei bravi figli come Scalvini o Djimsiti. Magari, ancora ancora, Kolašinac. Quanto al genio di centrocampo”, sospira, “forse era il Papu, forse era Ilicic, forse potrebbe diventarlo Samardžić”…