Il G7 rilancia il sostegno occidentale all’Ucraina

MONDO. Da Bari, città cara ai russi per San Nicola, il messaggio recapitato al Cremlino è «fermatevi»; l’Occidente non farà passi indietro sull’Ucraina.

Dopo la fornitura delle armi all’Ucraina adesso è il turno del sostegno finanziario a Kiev e del piano di pace. A Bari, al G7 italiano, e a Burgenstock, alla Conferenza svizzera, si spera di porre ulteriori fondamenta che consentano la composizione della tragedia scoppiata 28 mesi fa. In precedenza, ad inizio settimana, a Berlino, si era continuato a lavorare al progetto internazionale di ricostruzione dell’Ucraina. Trovare la strategia più efficace per gestire le immense risorse necessarie è stato l’argomento centrale dell’incontro. L’Occidente, verrà ribadito al G7 italiano, è completamente schierato a sostegno del presidente Zelensky. Le difficoltà politiche dei mesi scorsi - con i conseguenti ritardi sulle forniture - sono ormai un ricordo e gli aiuti militari a Kiev, presenti e futuri, sono in salvo persino in caso di presidenza Trump.

Come già fatto da altri Paesi (in totale 15, Italia compresa), a Bari anche gli Stati Uniti hanno firmato con l’Ucraina un accordo di sicurezza. Questo non significa che Washington dovrà obbligatoriamente difendere Kiev, ma scioglie dal punto di vista giuridico alcuni rilevanti nodi politici.

Nei giorni scorsi Zelensky ha pure incassato da Joe Biden il permesso di colpire in territorio russo i siti da cui partono gli attacchi contro Kharkiv e mercoledì l’approvazione di nuove pesanti sanzioni finanziarie Usa contro istituzioni come la Borsa di Mosca.

L’Occidente sta, pertanto, stringendo le fila per inviare al Cremlino il segnale di maggiore fermezza possibile, nel tentativo di indurre a più miti consigli Vladimir Putin, che faceva poggiare molte delle sue speranze di vittoria sulle divisioni in campo occidentale.

La visita a sorpresa a Budapest del segretario generale della Nato Stoltenberg ha persino garantito l’impegno del premier ungherese Orban a non porre alcun veto all’assistenza dell’Alleanza atlantica all’Ucraina. L’ultimo ipotetico ostacolo sulla strada della difesa di Kiev è stato così rimosso.

Manca solo, a questo punto, l’adesione del martoriato Paese slavo alla Nato, ma il passo richiederà anni di mediazioni interne all’organizzazione di difesa occidentale dopo la fine dell’attuale conflitto.

Intanto, però, a livello di G7 si è trovato il modo per accordare a Zelensky un prestito da 50 miliardi di dollari, utilizzando come garanzia i 3 miliardi di interessi sugli asset dei circa 300 miliardi russi congelati in Occidente. La mossa non è di poco conto se si considerano sia le questioni legali connesse a tale scelta sia le possibili conseguenze finanziarie.

Infatti, quali Paesi ricchi, non propriamente democratici, parcheggeranno in futuro a cuor leggero i loro capitali in Occidente con il rischio di vederseli bloccare? Fino a ieri tali soldi erano al sicuro!

Passando alla Svizzera, qui si studia una «pace duratura» con la definitiva composizione della disputa russo-ucraina. Nel weekend una novantina di Paesi continueranno a perfezionare il piano in 10 punti, basato sul diritto internazionale, scritto dal presidente Zelensky.

Il problema, però, è che gli accordi di pace si fanno con i nemici. Nel resort nei pressi del lago di Lucerna i russi non sono stati invitati, perché, dopo varie dichiarazioni ufficiali, «non hanno dimostrato interesse» all’iniziativa. I cinesi sembrano spuntati e il loro piano in 12 punti è troppo vago; il «Sud globale» appare ancora lontano.

Da Bari, città cara ai russi per San Nicola, il messaggio recapitato al Cremlino è «fermatevi»; l’Occidente non farà passi indietro sull’Ucraina. E da Burgenstock, se volete la pace la via da seguire è questa qui.

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