L'Editoriale
Venerdì 26 Luglio 2024
Guerra in Ucraina, la piccola breccia
MONDO. La logica non gode di buona salute. Anche nel giudizio sui conflitti prevalgono emozioni, ideologie politiche e opinioni. A logica chi se non il popolo ucraino desidera la pace nella propria terra?
Quel popolo che dall’alba del famigerato 24 febbraio 2022 è preso di mira dai bombardamenti russi anche in città e villaggi lontani dal fronte e privi di obiettivi militari. Eppure nell’opinione pubblica italiana non è raro ascoltare posizioni che scaricano l’onere del disarmo e della soluzione diplomatica sullo Stato indipendente e sovrano invaso. Senza nulla chiedere a Mosca e dando per scontato che il Cremlino sia solo in attesa di una via d’uscita concordata con Kiev. Per altro non esiste un piano di pace russo mentre quello ucraino in undici punti è depositato all’Onu. In un’intervista al nostro giornale il nunzio apostolico a Kiev, monsignor Visvaldas Kulbokas, ha detto che «la pace significa soprattutto che chi ha iniziato la guerra non può avere scuse né giustificazioni di alcun tipo, va fermata l’aggressione». Un’altra considerazione logica perché non si può trattare con la pistola puntata alla testa sottostando a un ricatto.
Recentemente ci sono state prese di posizione ucraine per negoziati con gli invasori. Dopo la Conferenza di pace per l’Ucraina, il 15 e 16 giugno scorsi in Svizzera e la cui dichiarazione finale è stata firmata da 83 Stati e organizzazioni internazionali, il presidente Volodymyr Zelensky ha annunciato che alla prossima assise verrà invitata una delegazione russa. Mercoledì scorso il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba, incontrando il suo omologo Wang Yi, ha dichiarato che la parte che rappresenta «è disposta ed è pronta a condurre il dialogo e i negoziati con la Russia, ma dovrebbero essere razionali e sostanziali, mirati a raggiungere una pace giusta e duratura». Un giudizio che ha un doppio significato: è stato pronunciato in Cina, potenza che ambisce al ruolo di mediatore del conflitto ma non è neutrale appoggiando Mosca; fa riferimento a una pace non momentanea. La guerra in corso in Europa è iniziata nel 2014 con l’annessione illegale della Crimea sancita dal Cremlino e il sostegno dello stesso ai separatisti del Donbas. Atti in risposta alla Rivoluzione della dignità di piazza Maidan a Kiev quando gli ucraini, in una componente maggioritaria, protestarono contro la mancata firma del governo di allora del Trattato di associazione all’Ue, dopo le pressioni di Mosca per aderire all’Unione doganale con la Russia e all’Organizzazione euroasiatica.
Gli ucraini definiscono questa guerra invasione, quella scoppiata il 24 febbraio 2022 invasione su larga scala. Per evitarne una terza chiedono innanzitutto garanzie di sicurezza. Si fa strada l’ipotesi di concessioni mentre la Russia nel Paese invaso non ha nulla di sua proprietà da concedere. Secondo un sondaggio pubblicato dal giornale «Kyiv Post», il numero di ucraini disposti ad accettare perdite territoriali per porre fine al conflitto è triplicato: nel maggio scorso il 32% degli intervistati era favorevole, rispetto al 10% di un anno fa. La proposta di Vladimir Putin per un cessate il fuoco (quindi non per una pace definitiva) dopo la Conferenza in Svizzera chiede il ritiro delle truppe ucraine da Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson e la non adesione di Kiev alla Nato. I quattro oblast rappresentano il 20% del territorio dello Stato invaso, annessi illegalmente alla Russia nel settembre 2022 e nei quali peraltro si combatte ancora (Mosca ne controlla pienamente il 60%). Non sono previste invece garanzie di sicurezza per le vittime dell’invasione.
Il quadro internazionale non aiuta. Gli Stati Uniti sono impegnati nel travagliato percorso verso le presidenziali del 5 novembre prossimo e l’Europa non ha messo in campo alcuna iniziativa unitaria almeno per saggiare le posizioni, per pesare le intenzioni della Russia e per studiare una via di uscita creativa. «Mi pare che siamo ancora lontani da una soluzione negoziata» ha detto il Segretario di Stato vaticano, Cardinale Pietro Parolin, dopo la visita in Ucraina nei giorni scorsi. È un’evidenza.
Ma Kiev torna a rivolgersi a Mosca, una piccola breccia dopo i giustificati irrigidimenti in seguito agli eccidi di Bucha (1.400 civili uccisi nel distretto cittadino in un mese di occupazione), di Mariupol (25mila morti), i 6 milioni di sfollati e i 7 milioni di profughi, le 150mila case distrutte o danneggiate dalle bombe, i 19mila minori ucraini trasferiti in Russia, le scuole, gli ospedali e le chiese colpite. Accade ogni giorno. Un’immensa tragedia che non può essere imputata alle vittime, come non pochi commentatori e cittadini italiani continuano a fare. Se in Ucraina non sarà possibile una pace giusta, almeno si cerchi di essere giusti nei giudizi. Considerando la frase terribile scritta da Putin in un suo saggio nel 2021: «L’Ucraina non esiste, è un non Stato parte della Russia». Invece esiste e forse anche lo zar lo ha capito.
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