“V enga, venga, Professore”… Il parroco è un uomo piccolo ed esile, sui settant’anni. Pochi capelli bianchi schiacciati su una testa curiosamente quadrata. Il professor Caudano è appena sceso dalla corriera che l’ha portato in un paese alto sulla Langa. “Monsignor vescovo mi ha spiegato tutto, o almeno il tutto che ha ritenuto opportuno spiegarmi: vedrà che qui da noi starà bene. La casa non è moderna ma è bella, contiene anche mobilio di pregio, la diocesi l’aveva fatta sistemare pochi anni fa. Poi, non so come Lei sia abituato, ma in paese ci sono due o tre trattorie niente male. Abbiamo medico e farmacia, anche. Di qualunque cosa avesse bisogno, comunque, faccia pure riferimento a me”. Il buon Elvio ha la faccia di un uomo sballottato dal destino. È arrivato qui, in questo borgo di cui aveva letto il nome soltanto dentro un esile romanzo di Fenoglio, per una curiosa mediazione. È ripassato da Jesi, ha messo in valigia l’essenziale e poi è salito in treno fino ad Asti. Infine, la corriera… Mentre porta non senza fatica il suo bagaglio, e don Attilio gli elogia l’aria fina, il vino e i tartufi, ripensa a come le cose sono precipitate, o forse si sono sistemate. Assente dal lavoro, tecnicamente lo è stato il primo giorno e il secondo del nuovo anno scolastico, mercoledì e giovedì; poche ore, in verità, perché l’orario era ancora provvisorio e incompleto. Al venerdì, però, più preoccupato del funzionamento della scuola che della sorte del suo strampalato docente, il preside aveva ordinato che venisse chiamato sul fisso e poi al cellulare.