L'Editoriale / Bergamo Città
Domenica 01 Dicembre 2024
Don Spada, i sindaci e chi una casa non ce l’ha
ITALIA. «Badi che fare il Sindaco vuol dire diventare il padre della propria gente. Un Comune ha nel suo piccolo tutti i problemi di una nazione, e nel suo grande tutti i problemi di una casa».
«Lei dovrà amministrare non come un ragioniere che amministri un capitale, ma come un vero padre. Giovane padre, meglio. Quindi Lei, sindaco, si prepari a mettere su casa, nel senso più alto della parola, una casa di molte centinaia di persone, di vecchi e giovani, di intelligenti e di poveretti, di ricchi e soprattutto di poveri».
La Provvidenza che come il vento scorre nella vita di ciascuno di noi fa trovare sulla scrivania il lungo editoriale (da cui è tratta questa frase) che monsignor Andrea Spada, direttore di questo giornale per oltre mezzo secolo (dal 1938 al 1989), scrisse nel giugno del 1956 in risposta a un giovane abitante di un piccolo paese della Bergamasca che gli chiedeva se accettare o meno l’invito dei propri compaesani a presentarsi come sindaco alle elezioni che si tenevano da lì a poche settimane. E lo fa - la Provvidenza - a una manciata di giorni dal ventesimo anniversario della morte di don Andrea, avvenuta il 1° dicembre del 2004 nella sua Schilpario. Con l’aria che tira nella politica nostrana, da Nord a Sud dello Stivale, sarebbe già abbastanza questa piccola citazione per ricordare di che stoffa fosse fatto il Nostro, un po’ ruvida al tatto forse, ma capace di scaldare il cuore e il cervello come solo gli antichi tartan della miglior tradizione scozzese sanno fare.
Ma c’è di più. La Provvidenza ci mette lo zampino proprio qualche ora dopo la conclusione dell’incontro voluto giovedì dal prefetto Luca Rotondi con una quarantina di sindaci dei Comuni al di sopra dei 5mila abitanti per cercare di trovare insieme una suddivisione geografica più equa per il migliaio di profughi ospitati non tanto in Bergamasca quanto - piuttosto - in soli 17 dei 243 Comuni che la compongono, e alcuni di loro tra i più piccoli della nostra provincia, dove il numero di migranti accolti fa quasi il pari con quello degli abitanti di sempre, creando comprensibilmente qualche «disagio» e più di un malumore.
La fotografia della sala che «L’Eco» ha pubblicato il giorno successivo (venerdì) «parlava» da sola: sembrava scattata in un’aula di scuola nel momento in cui il professore guarda gli studenti dalla cattedra e chiede a voce alta «Chi interroghiamo oggi?». La reazione al quesito - credo - se la ricorda bene chiunque di noi. Tutti volenterosi - i sindaci -, per carità, tutti a condividere l’idea che l’accoglienza diffusa potrebbe essere una soluzione molto efficace, ma, al momento, di case comunali da mettere a disposizione di chi un alloggio non ce l’ha, non ce ne sono. Con buona pace di quel giovane sindaco che nell’estate di quasi settant’anni fa perse qualche notte di sonno prima di decidere se «metter su casa» o lasciar perdere l’impresa.
Ma la Provvidenza ci vede davvero lontano, perché lo scritto di Spada e l’incontro in Prefettura si materializzano a meno di due settimane dalla «Lettera» che Papa Francesco ha inviato ai parroci, ai religiosi e al clero perché chi possiede immobili li offra a chi vive in precarietà. Ben strane le coincidenze della vita, ma utili per riflettere sull’atteggiamento che gli amministratori della cosa pubblica dovrebbero avere e mantenere. Oggi come allora si chiede loro un gesto «coraggioso» e un gesto di «amore», capace di generare speranza - a Roma come nella Bergamasca - in chi non possiede una casa , e non certo per colpa sua. Francesco lo definisce un gesto di carità, ma è anche un gesto di giustizia, la stessa che forse anche il governo dovrebbe perseguire attraverso una politica fiscale più equa e più giusta («Pagare tutti per pagare meno» non è più uno slogan dell’ultrasinistra, ma - banalmente - la logica conseguenza di un semplice calcolo aritmetico). Ed è un gesto di solidarietà, di solidarietà umana ancor prima che pratica e materiale.
«Così il bene comune alla base del pensiero sociale della Chiesa - annota il Pontefice -, riassume in sé tutte le condizioni che garantiscono la dignità umana e che si concretizza in tre diritti inviolabili: la terra, la casa e il lavoro». I populisti e i «leoni da tastiera» che hanno già sulle labbra e sulle dita l’ormai consunta frase «Comincino il Papa e la Chiesa di Bergamo a dare il buon esempio» sappiano sin d’ora che sia l’uno sia l’altra fanno molto, ma molto di più di quanto sia doveroso fare (e di quanto dicano). Sul fronte dell’accoglienza, tanto per restare in tema, le istituzioni bergamasche sanno bene che senza il generoso impegno della Chiesa di Bergamo (chiamata ad intervenire a qualsiasi ora del giorno e della notte, e ancora a credito di un gran bel po’ di soldi dallo Stato) non sarebbe stato possibile gestire il flusso di migranti destinato alla nostra terra.
«Dio ama sempre tramite qualcuno» ha ricordato il Papa citando una celebra frase di don Pino Puglisi, il prete ucciso dalla mafia siciliana per la dedizione al prossimo che caratterizzava il suo apostolato. Lo ha fatto anche attraverso la figura di don Spada, donando al nostro giornale e alla comunità, non soltanto quella bergamasca, una figura straordinaria di uomo e di sacerdote, capace di trasformare le parole del Vangelo che ogni giorno leggeva camminando avanti e indietro lungo i corridoi della redazione (e guai a non salutarlo, anche se profondamente immerso nella lettura!) in una informazione libera e saggia, misurata, lungimirante, scevra da inutili e odiose polemiche, sempre costruttiva, contribuendo così a far crescere - com’è avvenuto - la società bergamasca, che su quei valori ha fondato tutta la propria forza. Grazie, Direttore, gliene saremo sempre grati. E con noi, ne siamo convinti, anche tutti coloro che sanno trasformare la carità del cuore in carità di pensiero, di parola e di azione.
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