Dollaro, dominio non più sicuro

MONDO. Tra i vertiginosi sussulti e disequilibri della contemporaneità globale e globalizzata, va tenuta d’occhio e attentamente analizzata la concorrenza esercitata dall’euro sull’egemonia del dollaro, come moneta di riserva, e dallo yuan come valuta privilegiata negli scambi internazionali con i Paesi asiatici e con quelli non allineati. Il dominio del dollaro ebbe inizio il 22 luglio 1944 con gli accordi di Bretton Woods che stabilirono un nuovo ordine monetario concordato tra 44 nazioni, dando vita al «gold exchange standard».

Si trattava di un sistema monetario basato su rapporti di cambio fissi tra le valute, tutte legate al dollaro, che veniva agganciato all’oro con un rapporto di cambio di 35 dollari per oncia. Questo sistema subì un pesante contraccolpo il 15 agosto 1971, quando il presidente americano Richard Nixon decise unilateralmente di sospendere la convertibilità del dollaro in oro per le difficoltà del Tesoro nel sostenere le richieste di convertibilità. La decisione di Nixon sorprese non poco e fu molto criticata, ma non intaccò la supremazia della moneta americana. Allo scopo di stabilire un riferimento all’oro furono istituiti i «Diritti speciali di prelievo» (Dsp, 1969), una valuta di conto presso il Fondo monetario internazionale il cui valore fu ricavato da un paniere di monete costituito da dollaro Usa, euro, yen giapponese, sterlina britannica e, dal 2016, dallo yuan cinese. I Dsp hanno funzionato come misura dei rapporti all’interno del Fondo, ma non hanno mai sostituito come moneta di riserva il dollaro, che all’inizio del nuovo millennio rappresentava oltre l’80% delle riserve globali.

Tuttavia, con la costituzione dell’euro (2001) si è dato vita a una moneta assai stabile e sempre più apprezzata dai mercati, che ha in parte sostituito il dollaro come moneta di riserva. Alla fine del 2022 solo il 68% delle riserve globali delle banche centrali era rappresentato dal dollaro, il 20,4% era rappresentato dall’Euro e il 2,69% dalla yuan cinese. Lo yuan, pur mantenendo un ruolo limitato come valuta di riserva, si è avviato a fare concorrenza al dollaro negli scambi internazionali grazie a una catena di accordi economici e finanziari che la Cina ha avviato con vari Paesi. Questa strategia ha avuto come punto di partenza la costituzione del Brics (2006), un accordo finanziario tra Brasile, Russia, India, Cina cui si è aggiunto il Sud Africa. Scopo di questo accordo è stato quello di accrescere sempre più il peso dello yuan nei commerci e nelle riserve delle banche centrali di quei paesi.

Nel 2014 è seguita un’intesa che ha previsto la creazione di una grande banca di sviluppo denominata Brics, con sede a Shangai e con un capitale di 50 miliardi di dollari, che può contare su un fondo strategico di capitali di riserva di 100 miliardi. La banca nasce con la finalità di garantire sostegni economici ai Paesi in difficoltà che fanno parte dell’accordo, sostituendo gli interventi della Banca mondiale.

Lo scenario attuale vede lo yuan come la valuta più utilizzata negli scambi commerciali con Russia, Brasile, Indonesia, Pakistan e, più recentemente, con Argentina e Arabia Saudita e con diversi Stati africani nei quali la Cina ha fatto grandi investimenti in cambio di privilegi sulla estrazione di materie prime. Sulla scia dei vari mutamenti geopolitici, la Cina si sta anche impegnando per ridurre i suoi legami finanziari con gli Usa e il dollaro. Ne è riprova il calo dei titoli di Stato americani nel bilancio della Banca centrale cinese che era arrivata a detenere 1.200 miliardi di dollari di bond governativi, scesi ora a 850. La stessa dinamica è replicata da molti dei Paesi che si sono avvicinati commercialmente alla Cina. Il Brasile del presidente Lula ha visto scendere i Titoli di Stato Usa in suo possesso da 317 miliardi agli attuali 200 e anche l’Arabia Saudita, tradizionale alleata degli Usa, è passata da 183 miliardi di bond americani a 110. Tuttavia, nonostante il peso assunto dall’euro come valuta di riserva e il crescente utilizzo dello yuan negli scambi internazionali, è ancora prematuro parlare di de-dollarizzazione. Molto dipenderà dai futuri sviluppi del progetto europeo e dalla capacità della Cina di contendere agli Usa la posizione di prima potenza mondiale.

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