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Disastro ferroviario di Pioltello, martedì la sentenza dopo sette anni e un mese
IL PROCESSO. I pm hanno chiesto condanne per 5 manager e dirigenti di Rfi e 900mila euro di sanzione per la società: «Non fu attivata la manutenzione».
Erano le 6,57 del 25 gennaio di sette anni fa quando il convoglio 10452 di Trenord carico di 350 viaggiatori, in gran parte pendolari, deragliò all’altezza di Pioltello.
Il convoglio, partito da Cremona e transitato anche da Treviglio, era diretto a Milano Porta Garibaldi. Nell’incidente morirono tre donne: Pierangela Tadini, cinquantunenne di Fara Gera d’Adda, Giuseppina Pirri, 39 anni, di Cernusco sul Naviglio, e Ida Maddalena Milanesi, 61 anni, medico di Caravaggio in forza all’ospedale neurologico Carlo Besta di Milano. Non meno di 200 i feriti, coinvolti nel più grave disastro ferroviario mai avvenuto in Lombardia.
La rottura del binario
Il treno viaggiava a una velocità di circa 140 chilometri orari quando tre vagoni uscirono dai binari per poi andarsi a schiantare contro un palo. Dietro il deragliamento, la rottura di un pezzo di binario di 23 centimetri che si trovava sopra una giuntura, staccatosi dalla rotaia dove viaggiava il treno deragliato.
E’ stato il più grave disastro ferroviario mai avvenuto in Lombardia
A sette anni e un mese esatto di distanza dall’incidente, il processo è giunto finalmente in dirittura d’arrivo. È attesa infatti per martedì la sentenza dei giudici della sesta sezione del Tribunale di Milano.

(Foto di Polizia di Stato)
Cinque richieste di condanna
Sul tavolo ci sono cinque richieste di condanna – per i reati di disastro ferroviario colposo, rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro, omicidio colposo plurimo e di lesioni personali colpose –, formulate dai due pm Maura Ripamonti e Leonardo Lesti a carico di altrettanti tra manager e dirigenti di Rete ferroviaria italiana (Rfi), la monopolista del Gruppo Fs che gestisce l’infrastruttura ferroviaria del nostro Paese.
A sette anni e un mese esatto di distanza dall’incidente, il processo è giunto finalmente in dirittura d’arrivo. È attesa infatti per martedì la sentenza dei giudici della sesta sezione del Tribunale di Milano
Le richieste della Procura
Nel dettaglio, due richieste di condanna a otto anni e quattro mesi hanno riguardato quello che all’epoca dell’incidente era l’amministratore delegato, nonché direttore generale di Rfi, Maurizio Gentile, e l’allora direttore della direzione produzione sempre di Rfi Umberto Lebruto; una condanna a sette anni e dieci mesi Vincenzo Macello, già direttore della Direzione territoriale produzione di Milano di Rfi; e due condanne a sei anni e dieci mesi, rispettivamente per l’allora responsabile delle linee sud della Direzione territoriale produzione di Milano di Rfi Andrea Guerini e per l’allora responsabile dell’unità Rfi di Brescia Lav 1 Marco Albanesi, dal quale dipendeva il responsabile del nucleo manutentivo lavori di Treviglio di Rfi Ernesto Salvatore che, nell’ambito di un procedimento stralcio, ha patteggiato quattro anni di reclusione. E quella di Salvatore è per ora l’unica condanna passata in giudicato.
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(Foto di Matteo Corner)
Peraltro, la Procura milanese ha inoltre chiesto di condannare per responsabilità amministrativa di società per reati commessi da propri dirigenti anche Rete ferroviaria italiana al pagamento di una sanzione da 900mila euro. In estrema sintesi, i due pm sono arrivati alla conclusione che gli imputati, pur avendo piena consapevolezza del problema (gli operai avevano infatti sollecitato la sostituzione di quel giunto da mesi) e dei rimedi per risolverlo, non attivarono le procedure idonee di manutenzione dell’infrastruttura.
Secondo la Procura, dunque, alla base della carente manutenzione ci sarebbero evidenti scelte di politica aziendale. Scelte negate dai vertici di Rfi, che si sono difesi sostenendo la corretta applicazione di procedure e vademecum
«Il problema centrale di questo processo è quello della circolazione, del traffico e della capacità di una linea ferroviaria i cui componenti infrastrutturali subiscono costanti sollecitazioni. Si possono far passare tanti più treni, tanto più quelli che passano sono veloci. Tante tracce orarie erano state vendute e questo ha portato a una compressione degli spazi da dedicare alla manutenzione», aveva argomentato la pm Ripamonti in sede di requisitoria. In altre parole, «si aumenta lo stress della linea, ma si riducono gli intervalli per fare manutenzione perché per ogni treno che salta la società rischia di dover pagare le penali». Secondo la Procura, dunque, alla base della carente manutenzione ci sarebbero evidenti scelte di politica aziendale. Scelte negate dai vertici di Rfi, che si sono difesi sostenendo la corretta applicazione di procedure e vademecum.
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