Dalla sfida India-Cina, lezioni sulla demografia per la nostra manovra

ITALIA. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha annunciato che con la Legge di Bilancio tutte le risorse pubbliche a disposizione dovranno essere concentrate «sulla logica di investire nel futuro, e quindi in due dimensioni: gli investimenti per quanto riguarda le imprese e la natalità per quanto riguarda le famiglie».

Il ministro, tra l’altro, ha sottolineato come la natalità sia «un tema di sostenibilità del nostro sistema di welfare che è nato in un’epoca in cui la demografia esplodeva e ora dobbiamo gestire questo welfare nel momento in cui si verifica l’esatto contrario». E come lo stesso tema si leghi non solo a quello dei conti pubblici «ma anche a quello della competitività europea. Una popolazione anziana - ha spiegato Giorgetti - è tendenzialmente meno produttiva e disponibile ad accettare innovazioni, ed è inevitabilmente destinata ad avere tassi di capacità di incidere sullo sviluppo inferiori». Già in queste ore, con la discussione del Piano strutturale di bilancio in Consiglio dei ministri, vedremo se alle parole seguiranno i fatti. Intanto la fondatezza dei ragionamenti di Giorgetti sulla natalità potrebbe essere dimostrata in tanti modi, a patto di abbandonare le sterili polemiche domestiche e di volgere lo sguardo al peso decisivo che la demografia sta giocando nella battaglia ai vertici dell’economia globale.

Venerdì scorso, il Partito comunista cinese ha approvato la riforma dell’età pensionabile. Aumenta la soglia sotto la quale sarà vietato andare in pensione: fino al 2040 l’età limite salirà gradualmente, da 60 a 63 anni per gli uomini, fino a 55 anni per le donne che lavorano in fabbrica e a 58 per le donne impiegate. Si tratta di soglie ancora distanti da quelle cui siamo ormai abituati in Italia, ma è la prima volta dagli anni Cinquanta del secolo scorso che la Cina assume una decisione del genere. D’altronde la situazione demografica di Pechino è giudicata allarmante dalla classe dirigente locale. Una delle più crudeli politiche pubbliche contemporanee, cioè la «politica del figlio unico» in vigore dal 1980 al 2015, ha lasciato segni indelebili sulla struttura demografica nazionale che ora rischia di diventare un unicum nella storia: al fianco della denatalità galoppa l’invecchiamento, ma il Paese non può ancora definirsi «ad alto reddito» e non è dotato di un welfare al livello di quello dei Paesi occidentali. Lo scorso anno, con 9 milioni di nascite e oltre 11 milioni di decessi, nell’ex Impero celeste si è assistito al secondo calo consecutivo della popolazione. Se nel 2020 in Cina c’erano 5 lavoratori per ogni pensionato, nel 2050 si arriverà a 1,6 lavoratori per pensionato. Gli effetti su conti pubblici e crescita saranno devastanti.

In tutt’altra situazione si trova oggi l’India che nel 2023 ha superato la Cina ed è diventata il Paese più popoloso del pianeta, con oltre un miliardo e 400 milioni di abitanti e 23 milioni di nascite solo lo scorso anno. Secondo alcuni report, da qui al 2025 la popolazione in età lavorativa aumenterà di 179 milioni di unità. Nuova Delhi punta a scalare le classifiche dell’economia mondiale proprio grazie al «dividendo demografico», cioè la crescita economica che - sul piano contabile - può derivare dall’aumento della quota di popolazione in età lavorativa. Non si tratta di un’ascesa scontata, visto che il reddito pro-capite indiano è ancora distante da quello cinese, e considerato che soltanto un terzo delle 460 milioni di donne indiane in età lavorativa è effettivamente attivo nel mercato del lavoro. Serviranno dunque riforme del mercato del lavoro, oltre che sociali, e investimenti appropriati per avvantaggiarsi appieno dell’andamento della popolazione. Ma ancora una volta, in definitiva, è la demografia a delimitare il campo delle possibilità a disposizione dei Governi.

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