Da Valtorta al Nanga Parbat, Annovazzi conquista il suo quinto Ottomila

L’IMPRESA. Sessantaquattro anni, in vetta lo scorso 3 luglio. Nonostante due infarti alle spalle. Ex muratore e camionista, ha iniziato a scalare a 50 anni.

«Questa è veramente l’ultima volta che salgo un Ottomila. Ho rischiato tanto, e quest’anno compirò 65 anni». Valerio Annovazzi, di Valtorta, parla al telefono da Islamabad, capitale del Pakistan. Il 3 luglio scorso ha conquistato il suo quinto Ottomila, il Nanga Parbat (8.126 metri), la nona vetta più alta della Terra, secondo qualcuno la seconda per difficoltà dopo il K2, per Annovazzi «tecnicamente ancora più difficile».

Una soddisfazione ancora più grande, quindi, per l’ex muratore e camionista brembano. «L’Everest in confronto è niente - continua con un pizzico di orgoglio - e io qui sul Nanga sono salito anche senza ossigeno supplementare». Ma poi esce l’anima umile: «Mi raccomando non “pompi” su troppo e soprattutto non sottolinei che ho avuto due infarti. Perché se uno ha un infarto deve starsene forse a casa?».

Ci scherza un po’ su Valerio che ha lasciato la residenza di Valtorta una volta sposato, a 23 anni, per la Valsassina, a Primaluna (oggi abita invece a Introbio). «Ma sono bergamasco, brembano - continua -. A Valtorta abitavo in centro, vicino all’amico Piero (Busi, ex sindaco), ho tanti amici e parenti. E torno». Lavora come muratore, poi come camionista in giro per l’Europa e ancora come muratore. Mette su un po’ di chili, fuma. Poi il primo infarto e la decisione di cambiare stile di vita.

Valerio si appassiona al treeking e poi all’alta montagna. Sulle Ande, in Asia. Arrivano le vette da 6.000 metri, dal 2014 i primi Ottomila: il Cho Oyu (8.201 metri), quindi il Manaslu (8.156) e il Gasherbrum II (8.035), dove rischia la vita restando senza mangiare per tre giorni, perché bloccato dal maltempo. Nel 2018 deve rinunciare al Makalu, a poco dalla vetta. Nel 2019 è la volta del Broad Peak, nel Karakorum, tra Cina e Pakistan, vetta di 8.047 metri.

La conquista del Nanga Parbat il 3 luglio

Quindi la spedizione per il Nanga Parbat e la conquista della vetta - senza ossigeno supplementare - lo scorso 3 luglio. Sale con il veneto Mario Vielmo, il primo ad arrivare in vetta, con il valtellinese Marco Confortola, l’argentino Juan Pablo Toro, il veneto Nicola Bonaiti e il pakistano Muhammed Hussein.

«Avevo dimenticato il telefono in tenda - racconta Valerio - ma mi ha fatto le foto l’argentino. Una grandissima soddisfazione, perché il Nanga Parbat è veramente difficile, a detta dei più tecnicamente è veramente il primo. Dai 6.800 ai 4.900 metri si scende in corda doppia, la parete è verticale. Sia la salita sia la discesa sono veramente difficile, e stavolta ho rischiato».

Ad attenderlo a casa, a Introbio, oggi, la moglie Giuliana. Alla quale, tante volte, al termine di ascese importanti, ha detto che sarebbe stata sempre l’ultima. «Valerio si allena continuamente - racconta - . Fa 9.000 metri di dislivello a settimana, sale tre volte in Grigna, spesso sul Tre Signori. Una passione non si riesce a fermare. La preoccupazione c’è sempre, che sia sull’Himalaya o sulle nostre montagne. Ci sentiamo sempre quando parte e quando arriva da una vetta». Veramente l’ultima volta? «Sì è l’ultima - promette lui - . Sono partito con due borsoni da 30 chili. Torno con uno da 20 chili. Per non sbagliarmi ho regalato tende, guanti e materiale ai pakistani».

© RIPRODUZIONE RISERVATA