Continuano le ricerche del terzo uomo, la titolare del bar: «Dal bancone non ho visto niente»

CASAZZA. «Non ho visto direttamente l’aggressione perché mi trovavo al bancone a sistemare la macchina del caffè. Quando mi hanno avvisato, sono uscita e ho visto quest’uomo a terra, a faccia in giù, che veniva già soccorso». È questa la testimonianza di Joy Chen, titolare del «Rosy Bar».

Continuano le ricerche del marocchino trentaduenne senza fissa dimora. È lui il secondo aggressore di Mykola Ivasiuk, uccido lunedì sera 19 agosto a Casazza, fuori dal “Rosy Bar”. Il nord africano si è dileguato dopo la lite: dalla ricostruzione degli inquirenti dell’omicidio, ha raggiunto la casa di Spinone dove un bergamasco di 46 anni lo ospita, ha preso la Ford grigia di quest’ultimo ed è scappato. È ancora ricercato con l’accusa di omicidio, anche se gli inquirenti confidano che il «cerchio si sta stringendo».

Due persone in carcere

In carcere sono intanto finiti – arrestati dai carabinieri della Compagnia di Clusone – il calabrese accusato di omicidio – non ancora declinato nello specifico, anche se potrebbe essergli contestato il preterintenzionale per aver causato la morte di Mykola senza avere avuto la volontà di ucciderlo – e il bergamasco accusato di favoreggiamento nella fuga del marocchino.

La causa specifica del litigio non è ancora chiara: probabilmente a rendere pesante il clima il fatto che i coinvolti – vittima e aggressore – fossero sotto l’effetto di alcol

La dinamica dell’omicidio

Questa la dinamica di quanto avvenuto poco prima delle 22,30 di lunedì fuori dal “Rosy Bar”, lungo la Statale del Tonale che attraversa Casazza. Ai carabinieri sono venute in aiuto le riprese interne del bar, anche se l’aggressione mortale è avvenuta – comunque filmata – sotto il porticato esterno, dov’erano seduti, in distinti tavolini, l’avventore calabrese e quello marocchino ricercato. La causa specifica del litigio non è ancora chiara: probabilmente a rendere pesante il clima il fatto che i coinvolti – vittima e aggressore – fossero sotto l’effetto di alcol.

Hanno avuto un battibecco: dalle telecamere si nota Mykola che si gira verso il calabrese e viene colpito con un pugno in faccia. Violentissimo.

Nei filmati si vede Mykola Ivasiuk – nato 38 anni fa in Ucraina, vicino a Leopoli, e in Italia da una decina, di casa in un palazzo di fronte al ”Rosy Bar”, dall’altra parte della Statale – arrivare al locale, entrare, uscire e poi avvicinarsi di nuovo al locale, forse perché il calabrese e il marocchino gli avevano detto qualcosa. A quel punto c’è un battibecco con il calabrese (tutte le persone coinvolte si conoscevano), Mykola si gira verso di lui e viene colpito con il pugno in faccia. Violentissimo. Tanto da neutralizzare un fisico molto robusto come quello del trentottenne ucraino: a incidere definitivamente sulla sua stabilità e farlo cadere a terra è un colpo alla nuca che il marocchino, alle sue spalle, gli sferra con un bicchiere.

Si attende l’autopsia

Sarà l’autopsia – disposta dalla Procura e programmata per venerdì mattina all’obitorio dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo (la eseguirà il dottor Matteo Marchesi) – a chiarire se a causare la morte sia stato il pugno in faccia, la bicchierata alla nuca, oppure la caduta. O, come sembra più verosimile, la catena delle tre situazioni di violenza, una dietro l’altra in tempi strettissimi.

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È il calabrese poi arrestato per l’omicidio a chiamare il 112. «Sono arrivato davanti al bar e c’era quell’uomo a terra supino e con il viso insanguinato, mentre un altro uomo era chinato su di lui e, nel contempo, telefonava – racconta Jawad Minsowr, un marocchino di passaggio –. Ho chiesto se servisse aiuto, ma quello al telefono mi ha detto che era a posto e di allontanarmi». Pochi minuti dopo sono arrivate l’automedica e l’ambulanza della Croce Blu di Lovere: i tentativi di rianimare Mykola Ivasiuk si rivelano vani. Tocca ai carabinieri del Nucleo operativo di Clusone ricostruire i fatti: il piazzale antistante il bar viene delimitato con il nastro e la Scientifica esegue tutti i rilievi. Vengono anche acquisite le immagini delle telecamere del bar, da 16 anni gestito da una donna di origine cinese. Sul posto arriva anche il neocomandante dei carabinieri di Clusone, tenente Maurizio Guadalupi, al timone della Compagnia solo da una settimana.

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Da chiarire se a causare la morte sia stato il pugno in faccia, la bicchierata alla nuca, oppure la caduta. O, come sembra più verosimile, la catena delle tre situazioni di violenza

La disperazione del fratello di Mykola

La voce di quanto accaduto arriva anche al fratello di Mykola, Nazar, che arriva al piazzale e non riesce a darsi pace: «Spero che prendano chi ha fatto tutto questo – dice –: Mykola mi aveva tagliato i capelli e poi mi aveva detto che sarebbe uscito per bere una birra. Tre ore dopo mi hanno chiamato e detto che era successo qualcosa di grave». Quando ormai è l’una e mezza della notte e, finiti i rilievi, sono le onoranze funebri a portare via il corpo di Mykola, è proprio Nazar ad andare a prendere la loro mamma, Maria, in Italia da 15 anni e che vive a casa di un’anziana dove fa la badante, sempre a Casazza. «Ero stata da lui oggi a pranzo e non pensavo sarebbe stata l’ultima volta che lo vedevo – confida –. Era un ragazzo tranquillo, ma quando si alterava era meglio lasciarlo stare. Si trovava bene in Italia: aveva lavorato anche lui come badante, mentre ora nel settore dell’ortofrutta, ma saltuariamente».

La titolare del bar: non ho visto nulla

«Non ho visto direttamente l’aggressione perché mi trovavo al bancone a sistemare la macchina del caffè. Quando mi hanno avvisato, sono uscita e ho visto quest’uomo a terra, a faccia in giù, che veniva già soccorso. È stato uno choc: lo conoscevo, ma di vista, ogni tanto veniva qui al bar. Non era mai successo nulla del genere in questo locale, che è tranquillo» spiega Joy Chen, di origine cinese, ma parla perfettamente l’italiano perché è nel nostro Paese da tempo e gestisce il «Rosy Bar» di Casazza, lungo via Nazionale, da ben 16 anni. «L’aggressione è avvenuta fuori, ma dentro c’erano alcuni clienti, anche loro turbati per l’accaduto, che non hanno però potuto vedere perché avvenuta in pochi attimi», prosegue la barista. La donna ha subito messo a disposizione dei carabinieri di Clusone le immagini delle telecamere interne al locale.

«Non possiamo filmare l’esterno», precisa. T uttavia qualcosa si vede attraverso la vetrina ed è stato sufficiente a chi indaga per ricostruire con una buona dose di precisione come sono andate le cose. «Sono uscita e poi entrata per prendere della carta, visto che c’era del sangue – spiega Chen –: intanto lo avevano già girato. Poi sono arrivati i soccorritori, ma non c’è stato niente da fare».

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