L'Editoriale
Mercoledì 22 Gennaio 2025
Cisgiordania, passa da qui il futuro di Gaza
MONDO. Appena siglata la tregua a Gaza e realizzato il primo scambio ostaggi-prigionieri, il conflitto tra Israele e i palestinesi si è riacceso in Cisgiordania, dove peraltro non si era mai spento.
Con quelli delle scorse ore, il bilancio dell’ultimo anno, nell’area controllata da Al Fatah e dal presidente Abu Mazen, supera gli 800 morti. L’ultima operazione israeliana viene chiamata «Muro di ferro» ed è condotta dall’esercito e insieme dallo Shin Bet, il servizio segreto interno di Israele. L’obiettivo sono le milizie di Hamas e della jihad islamica attestate nella città di Jenin, in Cisgiordania il più forte baluardo della resistenza sia a Israele che ad Al Fatah.
Molti si chiedono in che misura questa operazione sia stata concepita da Benjamin Netanyahu come un «risarcimento» nei confronti dei partiti della destra suprematista che hanno sostenuto il suo Governo in questo anno e mezzo di guerre e che ora protestano a gran voce per la tregua con Hamas. A noi pare che la domanda vera, invece, sia se Israele non stia costruendo con l’attacco a Jenin il futuro di Gaza. Poche settimane fa, infatti, le forze di sicurezza agli ordini di Abu Mazen avevano condotto un’operazione analoga, ma ovviamente di minor impatto militare, contro i gruppi islamisti palestinesi che non accettano l’autorità del governo di Al Fatah e rispondono ad Hamas. E subito dopo il segretario di Stato Antony Blinken aveva ribadito l’orientamento della Casa Bianca di Joe Biden: affidare la Striscia, pacificata e da ricostruire, all’Autorità nazionale palestinese (Anp) di Abu Mazen, assistita dalle Nazioni Unite.
Gli Usa e il sostegno a Israele
Sappiamo bene, ovviamente, che il presidente adesso è Donald Trump, sostenitore di Israele senza se e senza ma. E allo stesso modo conosciamo le ragioni per cui l’Anp al governo di Gaza è prospettiva che non piace a Netanyahu: le «sue» destre intransigenti non glielo perdonerebbero, attratte come sono dall’idea di riprendersi la Striscia; e una guida unica per i due lembi di territorio, la Striscia e la Cisgiordania, renderebbe un filo più concreta l’ipotesi di uno Stato palestinese. Però Trump si è molto speso per questa tregua con Hamas e già nel 2021, con il suo Piano per il Medio Oriente, aveva previsto la formazione di uno Stato palestinese, anche se ridotto a un innocuo sottoscala di Israele mantenuto dalle monarchie arabe. Anche Netanyahu potrebbe alla fine essere interessato a una simile prospettiva, che gli lascerebbe le mani più libere su altri fronti (Iran, per esempio) e, con la parziale composizione del problema palestinese, spianerebbe a Israele la strada al coinvolgimento dell’Arabia Saudita degli Accordi di Abramo e a lui nella futura spartizione del Levante con il presidente turco Erdogan.
l conflitto tra Israele e i palestinesi assume i contorni di un regolamento di conti interno ai palestinesi, fra il terrorismo fine a se stesso di Hamas e la realpolitik succube e corrotta di Al Fatah. Come ha detto il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, Abu Mazen e Netanyahu non sono gli uomini per il futuro di Israele e della Palestina
Quello che è certo è che sempre più, negli ultimi tempi, l’Anp di Abu Mazen è sembrata muoversi in piena sintonia sia con Israele sia con gli Usa. E di fatto il conflitto tra Israele e i palestinesi assume anche i contorni di un regolamento di conti interno ai palestinesi, fra il terrorismo fine a se stesso di Hamas e la realpolitik succube e corrotta di Al Fatah. Come ha detto il Cardinale Pierbattista Pizzaballa, Patriarca latino di Gerusalemme, Abu Mazen e Netanyahu non sono gli uomini per il futuro di Israele e della Palestina. Il presente, però, è purtroppo ancora loro.
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