Campo largo senza futuro, cosa serve alla sinistra per ripartire davvero

ITALIA. Il campo largo è una chimera, inseguirlo una perdita di tempo. La sfida della sinistra parte dai programmi.

Ci voleva un conoscitore esperto del Palazzo come Dario Franceschini per dissolvere l’incantesimo. Il campo largo è una chimera. Ad inseguirlo si perde solo tempo. I contrasti di programma e di leadership tra i possibili soci sono insuperabili. Se non si vuole arrivare all’appuntamento delle urne in una situazione di sfascio, l’unica soluzione è accettare le divergenze esistenti tra i partner e trasformare l’handicap in opportunità. Marciare divisi per colpire uniti. Che ognuno si presenti da solo alle urne, faccia il pieno dei voti e solo all’indomani delle elezioni sarà il tempo opportuno per mettere in comune il bottino elettorale e formare una maggioranza. Questo, secondo Franceschini, è l’unico modo per riuscire a sfrattare il centro-destra da palazzo Chigi. A governare ci si penserà dopo.

L’ex segretario del Pd, l’ex ministro della Cultura, l’inossidabile capo corrente, sempre pronto a farsi trovare all’incrocio dei giochi di potere, sa bene che alla fin dei conti sono i voti e le alleanze a decidere ogni partita politica. La Schlein è avvisata. Il progetto per cui s’è spesa - e continua a spendersi - è affossato. Si apre una nuova fase in cui - è il non detto, ma implicito nell’uscita di Franceschini - la sinistra è chiamata a darsi un nuovo assetto e anche a cercarsi una nuova leadership.

Il malcontento nel Pd

I segnali dello scontento di larghi settori del Pd si sono emersi con forza negli ultimi tempi. Sono molte le iniziative - ultime quelle di Milano dei cattolici ispirati da Prodi e di Orvieto dei riformisti di Libertà uguale del costituzionalista Stefano Ceccanti - nate per sollecitare un riequilibrio al centro di un partito giudicato troppo sbilanciato a sinistra. Le tensioni affiorate sono maturate genericamente sull’onda della richiesta di un nuovo organigramma del partito, soprattutto a garanzia della loro rielezione per gli esponenti non allineati con la segreteria.

La situazione in occidente incide

Non c’è chi non veda però che il disagio ha radici ben più profonde. La sinistra non può non tener conto del vento che, non solo in Europa ma in tutto il mondo occidentale, spira a favore della destra. Ormai solo in Spagna e in Inghilterra sono al governo forze progressiste, nel secondo caso solo sulla carta. Suona perciò un po’ stonato il caso dell’Italia, dove a capo della sinistra s’è insediata una leader, la Schlein, che più di sinistra non ce n’è.

Una cultura politica da ripensare

Questo pone il problema al Pd di ripensare la sua stessa cultura politica. Non sembra proprio che le vecchie ricette - vuoi della socialdemocrazia storica vuoi del cattolicesimo democratico vuoi del generico riformismo di cui si parla da quasi un trentennio senza che se ne definiscano i contenuti, siano in grado di attrezzarlo per la guida del Paese, e nemmeno per farlo prevalere nelle urne. Piaccia o meno, non sono i temi dell’eguaglianza sociale, della riforma di un capitalismo sfrenatamente acquisitivo, della promozione dei diritti Lgbtqia che procurino un consenso maggioritario nell’elettorato.

L’importanza di guardare avanti

Sono piuttosto quelli di una maggiore protezione sociale, di un fiscalismo meno esoso, della sicurezza, della lotta all’immigrazione irregolare portatori di voti, che per il momento solo la destra sa cavalcare con successo. Va bene un nuovo organigramma, va bene un/una leader popolare. Ma serve anche – non pochi del Pd se ne sono resi conto – che non si continui a guardare all’indietro: alle antiche battaglie, spesso vittoriose, del secolo scorso. La sfida della sinistra non può che partire da qui.

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