C’ è una sola parola che si può usare per commentare in sintesi la vicenda che sta portando Koopmeiners dall’Atalanta alla Juventus. E la parola è sconfitta. Sconfitta la Juventus, che ha cominciato a ronzare attorno al giocatore che ancora portavamo sciarpa e cappello, ha provato in ogni modo ad averlo al suo prezzo, trattando l’Atalanta come una società vassalla. Alla fine l’ha avuto, ma non al suo prezzo. Quale sia il prezzo vero, in mezzo alle mille voci che leggeremo in queste ore, lo scopriremo solo scorrendo il bilancio ufficiale o, prima, il comunicato della Juve, in quanto quotata in borsa. Ma certo, la Juve lo voleva presto e a una cifra. L’ha avuto tardi e a un’altra cifra. Sconfitto è Koopmeiners, che si è dovuto ridurre all’autoumiliazione dei certificati, tradendo la sua professionalità, tradendo i suoi compagni, tradendo la sua storia. Era - e resterà - uno degli eroi di Dublino. Ma solo per la storia, non per la memoria. Voleva la Juve a tutti i costi e l’ha avuta, al prezzo però di settimane fermo sul divano a scrollare Instagram e di una condizione tutta da ricostruire, al prezzo di compagni abbandonati quando c’era da giocare la partita più importante della storia dell’Atalanta. Al prezzo di un intero popolo, quello nerazzurro, che vede cancellato un sentimento. Che è quello per la squadra, sempre, ma è anche quello per i singoli, spesso. Koop è un nordico e non ha mai avuto slanci. Ma il calcio vive anzitutto di un carburante: la passione della gente. È triste, e anche un po’ grave, che chi a tutti i costi vuol cambiare squadra in nome del proprio essere «professionista» non capisca che dev’esserci un modo per non calpestare la passione della gente.