Artigiani, allarme rosso: Bergamo in undici anni ha perso 10mila addetti

IL REPORT. In calo anche il numero delle imprese. In controtendenza i settori benessere e dell’informatica: «Manca il ricambio: bisogna investire in formazione».

C’è un dato - che l’Ufficio studi Cgia, l’Associazione artigiani e piccole imprese Mestre, non riporta - in grado di spiegare buona parte del fenomeno. «L’età media di un artigiano bergamasco iscritto alla sezione speciale del Registro imprese è di 50 anni». Lo rileva uno studio di Confartigianato Imprese Bergamo e, non a caso, il report della Cgia indica che tra le cause delle chiusure delle «piccole» c’è proprio «l’invecchiamento progressivo della popolazione artigiana», in aggiunta a «un insufficiente ricambio generazionale». In pratica, una bomba a orologeria.

A meno che, come chiarisce Stefano Maroni, direttore di Confartigianato Imprese Bergamo, «non avvenga un’inversione culturale». Altrimenti i dati - 10.237 artigiani in meno in 11 anni - sono plausibilmente destinati a peggiorare. Se sul nostro territorio nel 2012 si contavano 45.531 artigiani, nel 2023 il numero è sceso a 35.294 (meno 22,5%). E Bergamo è tra le province italiane che registra uno dei cali più drastici: peggio hanno fatto solo Torino (meno 21.873), Milano (meno 21.383), Roma (meno 14.140), Brescia (meno 10.545) e Verona (meno 10.267).

«Scomparse» 4 mila aziende

L’epoca d’oro è ormai passata da tempo: «In Bergamasca il maggior numero di iscrizioni di imprese artigiane alla Camera di commercio si è avuto tra il 2008 e il 2009 - precisa Maroni -. Si è passati da oltre 33 mila iscritte alle circa 29 mila di oggi, un dato preoccupante». Ma a essere ancora più preoccupante è «la mancanza di ricambio generazionale», oltre «al passaggio di padre in figlio, sempre più complicato, perché i giovani vogliono intraprendere altre strade».

Diciamoci la verità: fa più presa dire «faccio l’avvocato», piuttosto che «faccio l’artigiano». Spesso a torto, perché, come sottolinea Maroni, «oggi l’artigiano è un imprenditore che sa coniugare la tradizione con l’innovazione tecnologica e che svolge un bel lavoro, ricco di significato e radicato nel territorio». Bisogna solo «scardinare uno stereotipo negativo». E «investire sull’orientamento al lavoro dei giovani studenti delle scuole medie - prosegue Maroni -: grazie anche alla “Fiera dei mestieri”, l’anno scorso abbiamo visto qualche risultato in più, con un incremento di iscrizioni alle scuole professionali».

Le soluzioni possibili

Secondo il direttore di Cna Bergamo, Tomas Toscano, dato che «fare l’artigiano può ancora essere una scelta appagante per i giovani», «su alcuni aspetti bisognerebbe intervenire subito». Ad esempio «va rivista la legge quadro sull’artigianato (443/1985), non più attuale, perché non rispecchia le esigenze di piccole attività che decidono frequentemente di darsi forme giuridiche diverse». Il tasto su cui battere rimane sempre lo stesso: «Il ricambio generazionale va sostenuto con misure strutturali sulla formazione, rafforzando gli Its», dice Toscano. «I “vecchi mestieri” non sono saperi da museo, ma competenze vive e attuali che vanno innovate e digitalizzate all’interno delle scuole professionali». E, per Toscano, una strada da percorrere potrebbe essere quella di proporre «politiche di formazione professionale agli extracomunitari».

«Gli artigiani stanno cambiando pelle, si pensi alle lavanderie. Fino a 20 anni fa ogni paese ne aveva una, mentre oggi è spesso collocata all’interno di un centro commerciale. Le aziende non scompaiono, ma semplicemente diventano più strutturate»

Intendiamoci: se tante professioni non attraggono più - vedere alla voce autisti, fornai, lattonieri - ci sono settori che non sentono la crisi, come quelli del benessere e dell’informatica. A livello nazionale, stando alla Cgia, sono in aumento acconciatori, estetisti e tatuatori, al pari di addetti al web marketing, video maker ed esperti di social media. Vanno altrettanto bene gelaterie, gastronomie e pizzerie da asporto. Certo: se nel 2008 il Belpaese contava 1.486.559 imprese artigiane, l’anno scorso il numero si è attestato a 1.258.079. Una riduzione in parte riconducibile alle aggregazioni in comparti come il trasporto merci, la metalmeccanica e la moda, dove la dimensione media delle imprese è aumentata.

Del resto, come ricorda Remigio Villa, presidente dell’Unione Artigiani di Bergamo (sistema Confindustria), «gli artigiani stanno cambiando pelle». «Il nostro stesso progetto è stato voluto per avvicinare due mondi, perché ci sono artigiani che lavorano per la grande industria». Secondo Villa, non da oggi è in atto un’evoluzione: «Si pensi alle lavanderie. Fino a 20 anni fa ogni paese ne aveva una, mentre oggi la lavanderia spesso è collocata all’interno di un centro commerciale». Vale a dire che «le aziende non scompaiono, ma semplicemente diventano più strutturate» e magari non risultano più inquadrate come artigiane.

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