Apple e Google, se la legge è uguale per tutti

MONDO. La legge è uguale per tutti, anche per le Big Tech, le corazzate del digitale che sembrano invulnerabili e inarrestabili, alimentate da profitti colossali. Due tra i nomi più illustri, Google e Apple, si sono spinte oltre il confine del lecito, approfittando di un Far west regolamentare che sembrava senza fine.

Ma a Lussemburgo, sede della Corte di giustizia europea, c’è chi sa far valere le regole e le leggi: è qui che Google e le sue società satellite hanno incassato una sconfitta storica, vedendosi respinto il ricorso contro una maxi multa da 2,4 miliardi di euro imposta dalla Commissione europea. L’accusa? Google avrebbe abusato della propria posizione dominante nel mercato europeo delle ricerche online, manipolando i risultati per favorire il proprio comparatore di prezzi, relegando i concorrenti nell’ombra. Una condotta che la Commissione definisce come un affronto alla concorrenza leale e al mercato unico. L’azienda di Mountain View aveva fatto appello, sperando di capovolgere la decisione, ma la Corte ha confermato la linea dura: non ci si può fare beffe delle regole europee.

E poi c’è Apple, l’altra protagonista di questo dramma fiscale. L’azienda di Cupertino ha beneficiato per anni di una relazione privilegiata con l’Irlanda, riuscendo a evitare miliardi di euro in tasse attraverso un sofisticato gioco di scatole cinesi. Tra il 1991 e il 2014, Apple ha spostato gran parte dei suoi utili generati al di fuori degli Stati Uniti su due società che, pur non essendo residenti fiscali in Irlanda, venivano trattate come tali da Dublino. La Commissione europea ha però deciso di mettere fine a questa pratica, imponendo all’Irlanda di recuperare 13 miliardi di eur o di tasse non pagate. Apple sostiene che le tasse le paga già in America, ma una parte evidentemente è sfuggita al controllo europeo, secondo i giudici lussemburghesi. L’Irlanda si è opposta con forza, difendendo a spada tratta il proprio regime fiscale che, negli anni, ha attratto investimenti da tutto il mondo. Ma Margrethe Vestager, la commissaria alla concorrenza, non si è fatta intimidire, portando avanti una battaglia che è arrivata fino alla Corte di giustizia. E anche qui, come nel caso di Google, la giustizia europea ha parlato chiaro: Apple deve pagare. Un verdetto che segna una pietra miliare nella lotta contro l’elusione fiscale delle multinazionali e che lancia un messaggio inequivocabile: l’Europa non sarà più terra di scorribande per i giganti del digitale.

Questi due casi, però, sono solo la punta dell’iceberg. Le Big Tech da anni sono sotto la lente d’ingrandimento delle autorità europee, non solo per questioni fiscali, ma anche per la protezione dei dati personali e le pratiche anticoncorrenziali. Con l’avvento del Gdpr, il regolamento europeo sulla privacy, giganti come Google, Amazon e Facebook si sono trovati a dover rispondere a domande scomode: come trattano i dati degli utenti? Li proteggono o li sfruttano? E soprattutto, raccolgono queste informazioni in modo trasparente e con il consenso degli utenti? Le accuse mosse finora indicano che la risposta è tutt’altro che rassicurante.

Il caso Google, in particolare, mette in luce un altro aspetto cruciale del potere delle Big Tech: il controllo dell’informazione. I motori di ricerca, infatti, non sono semplici strumenti neutrali, ma possono essere manipolati per dare priorità a determinati risultati rispetto ad altri. Un potere immenso che Google ha esercitato a proprio vantaggio, favorendo i propri servizi e soffocando la concorrenza. Le regole del marketing digitale sono cambiate, e con esse la struttura stessa dell’economia globale, basata sempre più sul controllo dell’accesso alle informazioni. La battaglia legale tra le Big Tech e l’Europa non si fermerà qui. Oltre alla concorrenza e alla privacy, c’è un’altra questione spinosa che riguarda il rapporto tra queste aziende e il fisco. Per anni, colossi come Google, Apple e Amazon hanno sfruttato le falle nei sistemi fiscali internazionali, spostando i propri utili in paradisi fiscali per evitare di pagare le tasse nei paesi dove realmente operano. Un’operazione che ha privato gli Stati europei di miliardi di entrate, in un momento in cui le casse pubbliche sono sotto pressione come non mai.

Ma la sentenza della Corte di Lussemburgo segna un punto di svolta. Non si tratta solo di una questione di giustizia fiscale, ma di riaffermare il principio che nessuno, neppure i giganti del digitale, può essere al di sopra della legge. E mentre le Big Tech continuano a macinare utili record, la giustizia europea ha finalmente alzato la testa, decisa a mettere un freno agli abusi di potere e a ristabilire un equilibrio tra economia digitale e diritti dei cittadini.

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