Accoglienza degli orfani, la forza dei piccoli

ITALIA. La vicenda dei minorenni ucraini ospiti in Valle Imagna, la storia della loro permanenza qui e da ultimo la decisione inaspettata di sospendere il loro rimpatrio che veniva dato per certo, offrono uno spunto di riflessione che va ben oltre i confini delle microcomunità che negli ultimi due anni si sono messe in gioco per accoglierli.

Difficile trovare termini di paragone per l’operazione che portò nel marzo 2022 un intero orfanotrofio ucraino a traslocare a Rota d’Imagna. Fu senz’altro un unicum del diritto internazionale e minorile, giustificato dall’emergenza del momento e anche dalla generosità, mista a un pizzico di incoscienza, di chi allora non esitò a spalancare le porte del paese per offrire accoglienza.

Da un giorno all’altro 113 bambini e ragazzi, con le loro istitutrici, si installarono in un albergo del paese. Giornali e televisioni si interessarono alla vicenda per qualche giorno, poi i riflettori si spensero e rimasero in pochi a sostenere tutto il carico umano di queste esistenze così fragili, messe a dura prova prima dalla vita, poi dalla storia. Con il trascorrere delle settimane e dei mesi, la rete di accoglienza che si venne a creare grazie ai Comuni coinvolti nell’accoglienza (oltre a Rota, Bedulita e Pontida) e all’istituto comprensivo di Sant’Omobono, si trovò a fronteggiare una situazione complessa e delicata. L’integrazione infatti non fu affatto semplice, non tutti i ragazzi erano disposti a venire a patti con gli ospitanti e per le sonnacchiose realtà della valle la convivenza fu a tratti destabilizzante.

Eppure, quando ad agosto del 2023 un primo gruppo di ragazzi (34) fu rimpatriato, se da un lato l’attenzione dei media era ormai completamente scemata, era invece cresciuta la consapevolezza di volontari, insegnanti e amministratori che con pazienza e senza clamore erano riusciti a dare un contorno di senso a quei tanti interrogativi irrisolti, dettati dalla rabbia e dal senso di abbandono, che i piccoli ucraini stavano cercando di affrontare. Sono così stati avviati percorsi specifici con servizi di neuropsichiatria del territorio, si è formata una rete di famiglie capace di donare tempo «liberato» ai ragazzi, la scuola si è attrezzata al meglio per reggere l’urto dei nuovi inserimenti.

Così è trascorso un altro anno e quella che era stata un’emergenza umanitaria da affrontare spingendo il cuore oltre l’ostacolo, anche a costo di sacrifici e incomprensioni, è diventata un’esperienza umana partita dal basso e maturata in ore di assistenza e ascolto, capace di promuovere ragioni e coltivare aspettative tali da riuscire a invertire il corso di decisioni superiori che ormai sembravano irreversibili. Ferragosto doveva essere il giorno del rimpatrio per i 61 ragazzi ucraini, invece tutto è stato rimandato in attesa che si decida sulle oltre 30 (ma se ne aggiungeranno altre) domande di protezione internazionale presentate in questura.

La saggezza pratica dei piccoli, quella che Michel de Certau, richiamando il mito, individuava nel termine greco di métis in contrapposizione al lògos dominante della storia, è stata in grado di far prevalere una scelta di buon senso e di umanità (anche grazie, va detto, all’attenzione dei decisori istituzionali, in primis il Tribunale dei Minori che ha revocato il suo precedente decreto). I piccoli, i bambini, ma anche in senso più lato le comunità, la scuola, i sindaci e gli impiegati dei Comuni, i gruppi di volontariato, le singole famiglie coinvolte nell’accoglienza... Tutti costoro, senza saperlo, ma con caparbietà ammirevole, sono diventati protagonisti di un modo concreto di fare la pace e di esercitare giustizia. Con i loro gesti e le loro scelte, si sono fatti interpellare in prima persona dall’antica, ma mai così attuale, domanda del poeta: «Che razza di uomini è questa? Quale patria permette una simile barbarie, di negarci anche l’ospitalità della sabbia?» (Virgilio, Eneide Libro 1).

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