Cronaca / Hinterland
Martedì 09 Aprile 2024
«Seguendo papà in Africa ho capito cosa farò da grande»
LA STORIA. «Ho solo 17 anni è vero, ma pensavo di aver già capito tutto. Avevo un piano chiaro e un progetto di futuro certamente rivolto verso l’odontoiatria. Ma pochi mesi fa tutto questo è cambiato».
Queste sono le prime parole di Alberto Panciera, figlio del direttore del reparto di Otorinolaringoiatria dell’ospedale Bolognini di Seriate e iscritto al quarto anno del Liceo delle Scienze Applicate di iSchool Bergamo. Seguire le orme del padre in ambito medico per lui era un cammino già tracciato: gli studi in ambito scientifico alle superiori per poi iscriversi alla facoltà di Medicina con l’obiettivo di diventare odontoiatra. Un’altra specializzazione rispetto al padre Davide, ma pur sempre un futuro in una professione medica. Lo scorso dicembre, però, tutto ciò che fino a quel momento aveva rappresentato una certezza per il giovane bergamasco ha preso un’altra direzione.
«Sono cresciuto con i racconti di papà sulle esperienze di volontariato nei Paesi più svantaggiati a cui prende parte annualmente. Non avrei mai pensato che un giorno mi avrebbe proposto di partire insieme a lui». Con un sorriso emozionato Alberto racconta di non aver esitato molto prima di accettare l’offerta del padre e ricorda, come se non fosse passato un giorno, la curiosità e l’impazienza, tipica di un diciassettenne, durante il volo verso lo Zimbabwe. «Sono partito con l’entusiasmo di vivere un’esperienza sul campo in un contesto diverso da quello che avevo già avuto possibilità di conoscere in Italia durante il Pcto (percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento ndr). Una volta arrivato al villaggio mi sono scontrato con la vera Africa».
Lo Zimbabwe è un territorio che vive di grandi contrasti, dalla siccità di alcuni periodi dell’anno alle violente inondazioni che spazzano via ogni cosa. Mutoko, nello specifico, conta seicento anime e si trova a circa 200 chilometri dalla capitale Harare. Vivere in un villaggio dell’Africa meridionale significa scoprire un mondo antico. Il lavoro quotidiano a quattro mani con i medici e i professionisti della struttura sanitaria locale è difficile, ma fatto di piccole grandi soddisfazioni. Nei venti giorni di viaggio Alberto ha avuto la possibilità di capire come, in questo contesto, la pratica medica non sia semplicemente intervenire sui pazienti per curare una patologia o un malessere, ma come significhi cambiare la qualità della vita di una persona che non può accedere facilmente alle cure mediche. «I ritmi all’interno della clinica sono molto diversi da quello che si potrebbe immaginare. I pazienti sono molti e raggiungono l’ospedale in modi assurdi e affrontando diversi giorni di viaggio. Nonostante questo, attendono pazientemente il proprio turno», racconta con uno sguardo che lascia trapelare stupore per poi scoppiare in una fragorosa risata mentre ricorda la mattina in cui ha trovato un elefante «parcheggiato» fuori dalla clinica.
«Ogni giorno era inaspettato. Ma vedere la riconoscenza negli occhi dei pazienti africani e i loro sorrisi veri fa capire come certe cose siano date per scontate e come la semplicità sia felicità. Posso dire che questo viaggio ha cambiato il mio sogno e mi ha fatto capire come relazione e dialogo con i pazienti siano per me fondamentali». Proprio i momenti di spensieratezza, come giocare con i bambini e godersi la gratitudine delle persone del villaggio, hanno portato Alberto a mettere tutto in discussione. Nel suo futuro ora vede un lavoro nel quale relazione e contatto con i pazienti siano l’elemento centrale. Una volta rientrato in Italia, infatti, Alberto ha iniziato sin da subito a pianificare il ritorno al villaggio di Mutoko nel periodo estivo, cercando di coinvolgere anche i suoi amici. Ma non solo, il ragazzo si è messo in contatto con l’associazione Dinamico di Villa d’Almè che si occupa di incentivare l’integrazione della pratica sportiva nei bambini affetti da disabilità con l’obiettivo di favorirne l’autonomia, trovando una risposta alle sue domande sul domani: «Il mondo della fisioterapia concilia la mia passione per la medicina e la possibilità di lavorare a stretto contatto con i pazienti. È questo quello che voglio fare da grande».
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