«Ecco la verità su Matteo, tradito
dalla sua passione per le foto perfette»

Il 5 marzo scorso Matteo Campana, 24 anni, di Seriate, venne ritrovato esanime sul greto del fiume Serio, precipitato dal ponte della ferrovia. La morte di questo giovane fu archiviata come suicidio. Ma i genitori, che a quell’ipotesi non hanno mai creduto, hanno cercato con tenacia la verità e l’hanno trovata nel suo telefonino, dov’erano custodite le foto scattate proprio negli istanti precedenti quel tragico volo dal ponte.

La luce calda che prelude alla sera. I riflessi sull’acqua del fiume, i due ponti in lontananza che si fanno sempre più piccoli, illuminati fino a diventare bianchi. E in primo piano l’ombra scura, fredda. Qualche minuto soltanto e il tramonto avrebbe regalato il suo tocco finale a uno scorcio da premio, chissà. Matteo ci era abituato, ai premi. Cresciuto con la passione dell’informatica e della fotografia, aveva vinto diversi contest di videomaking : primo a «Bergamo Giovani» su tema ambientalistico, primo a «Eni Scuola» su tema filo-storico con la partecipazione degli youtuber «The Jackal» e primo all’internazionale «GoPro Europa» che dal 2017 aveva scelto proprio lui come ambasciatore italiano nel team dei giovani talenti.

Ma quello è stato l’ultimo suo scatto. E l’inizio di un dolore immenso per chi è rimasto a piangerlo. Un dolore – se possibile – doppio, che al tormento del distacco ha visto affiancarsi, immediata, l’angoscia di un dubbio terribile quanto falso. Insinuato, anzi proclamato da altri come vero. Suicidio: così venne spiegata e archiviata la sua morte. Era il 5 marzo 2019 quando Matteo Campana, di Seriate, venne ritrovato esanime sul greto del fiume Serio, precipitato dal ponte della ferrovia. Quattro mesi dopo, questo giovane brillante e appassionato della vita avrebbe dovuto compiere 25 anni e presto si sarebbe laureato, per la seconda volta e a pieni voti, in informatica al dipartimento dell’Università Milano Bicocca. Matteo e la volontà di farla finita erano il giorno e la notte, la luce e l’ombra: inconciliabili. Fin da subito mamma Cinzia e papà Gabriele insieme alla figlia Valentina hanno ipotizzato che Matteo si trovasse su quel ponte per immortalare colori e sfumature di quel pomeriggio, aspettando che il tramonto calasse sul fiume, in attesa dell’attimo perfetto che però non è più arrivato.

«Non ci abbiamo mai creduto all’ipotesi del suicidio – dicono i genitori e la sorella di Matteo, ancora molto provati dai contorni di questa dolorosa perdita –: non esiste un perché a un gesto del genere, considerati il carattere, l’amore per la famiglia e le passioni di Matteo». Il loro cuore non aveva dubbi, non li ha mai avuti. Ma non bastava: «Andava raccontata la verità», spiegano i Campana. Cercarla e provarla, anzitutto. Soprattutto dopo che «un’altra verità alla parola “incidente” ha affiancato frettolosamente e ingiustamente quella di “volontariamente si è tolto la vita” la quale ha modificato e distorto la memoria di un ragazzo e dei fatti – aggiunge la famiglia di Matteo –, in suo nome abbiamo voluto e dovuto ricostruire le ultime ore di vita di Matteo e per farlo ci siamo affidati non solo al nostro cuore che non aveva dubbi, ma anche alle ricerche rigorose dell’ingegnere forense Michele Vitiello e dell’avvocato Luca Condemi».

La risposta era nel suo telefonino, trovato intatto nella tasca anteriore dei jeans, dove gli esperti incaricati ritrovarono quattro foto del ponte. Era nell’agenda di Matteo, piena di impegni, già pianificati per i giorni a venire, come l’aperitivo con gli amici dell’università e la presentazione alla fiera dell’informatica del robottino che aveva creato con alcuni suoi colleghi. La risposta anche nella memoria del suo computer analizzata dall’ingegnere forense: «Negli ultimi cinque anni nessun sito web, nessuno scritto, nessuna visualizzazione – spiega papà Gabriele – che denotasse alcun disturbo». Matteo quel giorno «era appena tornato dall’università di Milano Bicocca, dove aveva parlato con il docente della sua tesi magistrale e poi pranzato con alcuni suoi amici» spiega Valentina, la sorella di due anni più giovane, laureata in psicologia e studentessa di neuropsicologia «alla Bicocca, per poter stare più tempo con lui», aggiunge lei che, corso di laurea a parte, viveva in simbiosi con l’amato fratello.

Sceso dal treno alla stazione di Seriate, «sul percorso, prima di rientrare a casa, qualcosa aveva attirato l’attenzione di Matteo – ricostruiscono i famigliari –: da sempre cercava di riempirsi gli occhi di ogni meraviglia che il mondo aveva da offrirgli, la sua perspicacia e sapienza nel regalare punti di vista originali, inusuali, eppur perfetti era diventata una sua prerogativa di vita». Ore 16,40, il giovane scatta quattro foto dall’alto. Il fiume, i suoi argini, la siepe verde sulla destra, gli alberi bruciati dal sole sulla sinistra e, in lontananza, i ponti del centro sportivo e del Parco del Serio. «Non sapeva, non poteva sapere che proprio lì – spiegano i genitori – lo stava aspettando l’ultimo fotogramma del suo Destino». Uno scivolone? Un parapetto troppo basso? O forse l’urto assassino dello spostamento d’aria del treno che sfrecciava in quel momento? «La terra l’ha tradito, non il suo amore per la vita – vogliono dire al mondo i suoi famigliari –. Le parole possono sanare un cuore ferito, ma anche ucciderlo per la seconda volta. Raccontare la verità su Matteo deve essere da monito per eventi futuri, per evitare la mancanza di rispetto e la noncuranza che è stata data a un bravo ragazzo com’era Matteo e alla sua famiglia».

La verità, finalmente, otto mesi dopo quel tragico martedì, perché «Matteo venga onorato non solo nei nostri cuori straziati dalla sua mancanza di figlio e fratello, ma anche nel ricordo e sulle labbra di chi l’ha conosciuto». Per lasciarlo andare, finalmente. Verso il più bel tramonto che non ha fine. «E se la verità rende liberi, speriamo oggi di averti reso giustizia, Matteo, dovunque tu sia, con quegli occhi da bambino persi in paesaggi a noi ancora sconosciuti».

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