«Da un anno vivo in auto. Lavoro, ma nessuno mi vuole affittare casa»

CAPANNELLE. La storia di Eric, 25 anni, nativo del Camerun. «Tutti i giorni faccio 3 ore in bici per andare all’Italtrans». La Croce rossa gli ha montato un gazebo per la troppa afa.

«D’inverno le temperature scendevano fino a meno due o tre gradi, mentre in questi giorni l’auto è un forno: si arriva anche a 40 gradi. Impossibile starci all’interno». In realtà poco importerebbe qual è la temperatura all’interno di un’automobile, se non fosse che per Eric Dylan Ngaman, camerunense di 25 anni, la sua Toyota Aigò del 2012 da ormai un anno è anche la sua casa. Posteggiata in un angolo di un parcheggio pubblico di via Serio alle Capannelle, tra Grassobbio e Zanica, da sabato scorso è coperta da un gazebo che alcuni volontari della Croce rossa – che si sono presi a cuore il caso di Eric assieme al patronato San Vincenzo, alla Caritas, all’oratorio della frazione e al Comune di Grassobbio – hanno acquistato e montato con un permesso, però temporaneo, per occupare quello spazio pubblico.

Arrivato in Italia con un barcone

Del resto l’auto non funziona più dopo che lo scorso marzo Eric è rimasto coinvolto in un incidente mentre andava al lavoro. Ora ci va tutti i giorni in sella alla sua bicicletta: solo che ci impiega un’ora e mezza ad andare e altrettanto tempo a tornare, perché lavora per la cooperativa «Kamila» all’Italtrans di Calcinate, a una dozzina di chilometri. Proprio ieri il contratto a tempo determinato gli è stato rinnovato di ulteriori 6 mesi. «Il problema è che non riesco a trovare una casa – racconta –: il fatto di avere un contratto a tempo determinato non è sufficiente e nessuno mi affitta un alloggio da ormai un anno. Anche tutte le persone e le istituzioni come la Caritas che mi stanno aiutando e che ringrazio non sono riuscite, per questo motivo, a trovarmi un tetto e sono costretto a dormire in auto». Eric arriva in Sicilia con un barcone nel 2017, quando ha 17 anni.

Il lavoro alla Italtrans

«Fu mia mamma a spingermi a venire in Italia perché in famiglia c’erano problemi – ammette –. Sono rimasto cinque anni al centro di accoglienza di Milano, poi è arrivato il Covid e non ho lavorato. Non avevo alcun contatto. Poi tramite gli assistenti sociali ho seguito un corso di f formazione e sono entrato nel giro delle cooperative, finendo qui a Bergamo. Da un anno e mezzo lavoro alla Italtrans e mi trovo molto bene: faccio il “picchirista”, colloco sui banconi i prodotti che dovranno essere spediti. È un bel lavoro: 8 ore per cinque giorni e la paga è stata di recente alzata da 1.500 a 1.800 euro al mese. Nonostante questo non ho una casa ed è paradossale. Tutto quello che avevo l’ho spedito a un amico che vive a Chivasso: qui ho solo lo stretto necessario. Per i servizi igienici mi appoggio a un vicino centro sportivo parrocchiale». Venerdì scorso, tornando da Calcinate sotto il sole cocente, Eric aveva bucato. «Nonostante avesse il mio numero – racconta un volontario della Croce rossa –, non mi ha chiamato perché Eric è così: cerca di pesare il meno possibile sugli altri. È arrivato alle Capannelle ed è svenuto. Lo abbiamo soccorso con i sali e portato a una vicina trattoria dove gli hanno offerto da mangiare. “Torna anche domani”, gli hanno detto. Ma per vergogna non si è ripresentato». Ora gli è stato rinnovato il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Ma quel che gli manca è un tetto dove vivere.

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