L'Editoriale
Venerdì 27 Novembre 2020
Voto unanime sul Bilancio
Ma la prova è sul Mes
Il fatto che le Camere, votando insieme lo scostamento di bilancio per sostenere le spese della seconda ondata, abbiano mostrato di voler seguire l’appello di Mattarella alla concordia e alla solidarietà di fronte alla minaccia comune del virus ha un suo significato politico positivo: tutti vedono, anche a Bruxelles, che l’Italia si comporta nel conflitto come una democrazia matura dove prima si porta insieme i secchi dell’acqua per spegnere l’incendio della casa, e poi si litiga per come dipingere il tetto. C’è però davvero troppo tatticismo nel voto alla quasi unanimità con cui il Parlamento ha approvato l’ennesimo aumento del debito, deciso dal governo per «ristorare» le attività economiche danneggiate. E questo tatticismo esasperato coinvolge tutti, maggioranza e opposizione. Quest’ultima innanzitutto. Tra Silvio Berlusconi, che voleva dare un segnale concreto di dialogo con il governo (voto positivo o, al minimo, l’astensione) e Matteo Salvini che intendeva portare la coalizione allo scontro frontale in nome della protesta sociale, alla fine ha prevalso il primo, sia pure con la mediazione di Giorgia Meloni.
Quest’ultima, leader pragmatica e abile, non voleva affiancare né il gioco del Cavaliere (quello di far diventare Forza Italia il sostegno non ufficiale della maggioranza in difficoltà coi numeri per ricavarne abbondanti dividendi politici e aziendali) né quello di Salvini determinato a recuperare voti e leadership attraverso una opposizione dura, una contestazione a tutto campo del governo, ecc. Due tattiche dalla quale Meloni si è dichiarata estranea optando per il voto positivo sia per bagnare le polveri «governiste» di Berlusconi sia per non lasciare a Salvini il bastone del comando sul centrodestra di battaglia. E così si è andati «compattamente» verso il sì allo scostamento: cionondimeno le facce lunghe alla conferenza stampa dei leader però dicevano che nessuno ha veramente ottenuto quel che voleva. Dal che se ne deduce che l’armistizio tra l’opposizione e la maggioranza durerà lo spazio di un mattino e di una votazione. Da domani ognuno riprenderà a recitare la parte che si è scelta con Berlusconi ondulante verso Palazzo Chigi e Salvini a protestare ad ogni crocicchio.
Quanto alla maggioranza, il risultato di ieri ha fatto gioire soprattutto chi ha lavorato prima e più degli altri per ottenerlo: Nicola Zingaretti il quale forse non vorrà aprire le porte del governo ai berlusconiani (come invece gli suggerisce il suo vecchio mentore Goffredo Bettini con il sostegno di Renzi) ma di sicuro punta ad avere in Forza Italia un sostegno stabile in Senato. Già, perché sia a Montecitorio che a Palazzo Madama continua inesorabile lo sbriciolamento grillino e mette ogni giorno più a rischio la tenuta del Conte-bis. Presto si tratterà di votare l’intera manovra economica, e saranno dolori. Il presidente del Consiglio, in questa situazione di precarietà, prima o poi dovrà affrontare la questione del rimpasto: non ne ha nessuna voglia, sa benissimo che se si mette mano alle poltrone degli altri rischia di perdere la propria, però ci sono molte forze che spingono per ottenere questo giro di ministri.
Cosa farà? Non lo sappiamo. Probabilmente proverà a tirare avanti così aggrappandosi all’emergenza che esige che il governo resti in piedi. Certo però tra due settimane, prima del Consiglio europeo, sul Mes qualcosa finalmente bisognerà decidere senza poter più procrastinare, e non sarà facile mettere d’accordo grillini e piddini. Quest’ultimi. in particolare, pare che non ne possano davvero più dei veti e delle indecisioni dei loro compagni di governo.
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