Voto per le Europee
Gli scenari possibili

Ci ripetiamo da molti anni che quella corrente è «la campagna elettorale peggiore di sempre», e naturalmente anche in questa vigilia del voto per il nuovo Parlamento della Ue non possiamo interrompere la tradizione. Né, per l’ennesima volta, possiamo esimerci dal dire che i partiti nella lotta tra loro di tutto hanno parlato tranne che di Europa: strano, perché le danze vengono condotte da due partiti che solo fino all’anno scorso si scalmanavano per proporre un referendum per portare l’Italia fuori dall’euro e promettevano sfracelli a Bruxelles nel caso avessero conquistato il potere.

Quest’ultima promessa è stata ripetuta di sguincio anche in questo 2019 ma, come dire, a voce più bassa, quasi a riflettere i dubbi che in tutta Europa stanno pervadendo i movimenti sovranisti e populisti - di cui pure si continua a prevedere l’affermazione - di fronte alla prevista tenuta delle famiglie politiche tradizionali, popolari e socialisti, che continueranno a comandare anche nel prossimo Parlamento: il capo della Commissione sarà o il popolare tedesco Weber o il socialista olandese Timmermanns che ha conquistato il primo posto nel suo Paese già andato al voto.

In ogni caso Salvini e Di Maio in queste settimane zeppe di polemiche e insulti tutti «intragovernativi» avevano ben altro di cui occuparsi. Il loro problema fondamentale è stato dragare più voti possibile: verso sinistra, nel caso di Di Maio, preoccupato che i suffragi che gli arrivarono l’anno scorso dai nemici di Renzi ora rifluiscano verso Zingaretti. E verso destra nel caso di Salvini, convinto che solo così la Lega possa superare la soglia del 30% che gli consegnerebbe la golden share del governo. Se accadesse, potrebbe lui decidere cosa fare dell’esecutivo guidato da Conte (ha ancora la fiducia dei leghisti?) un attimo dopo la conta dei voti: farlo cadere subito e andare velocemente alle elezioni politiche per capitalizzare il vantaggio; oppure continuare la travagliata collaborazione con il M5S ma a condizioni capestro dettate da lui – a cominciare dalla Tav e dall’autonomia regionale. Deve essere questa seconda ipotesi ad inquietare Di Maio che ieri ha ricordato a tutti, e soprattutto a Salvini, che le elezioni europee non cambiano i numeri del Parlamento italiano eletto nel 2018 dove i grillini hanno il 36% dei deputati e la maggioranza in Consiglio dei ministri.

In genere affermazioni di questo tipo rivelano un certo nervosismo. Anche lui, Di Maio, deve avere un piano B in caso di vittoria piena di Salvini, e molti sospettano che si potrebbe riaprire il forno del Pd in una sorta di alleanza «di tutti contro la destra xenofoba, sovranista e razzista». Attualmente Zingaretti alla vigilia delle elezioni ovviamente sfugge a queste ipotesi che però diventano sospetti nella testa di tutti i deputati e senatori renziani che sarebbero pronti a fondare un partito di centro pur di impedire l’avvio di una collaborazione Pd-M5S, quella auspicata dal consueto coro di intellettuali, da Cacciari a Zagrebelsky. Non sarà un caso che molti ritengono che stia per risorgere la vecchia Margherita con Renzi di nuovo in campo e alleato (a certe condizioni) di un Pd tornato Pds.

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