Voto per l’Ue e le piccole richieste di Meloni

EUROPA. Oggi Ursula von der Leyen chiederà al Parlamento europeo di essere confermata nella carica di presidente della Commissione, in linea con la decisione del Consiglio europeo dei giorni scorsi di sostenere il bis.

La posizione di Frau Ursula oggi è decisamente meno incerta di quando sono cominciate le trattative: la sua recente intesa con i Verdi, ai quali ha garantito di non voler fare passi indietro sul Green Deal, le conferisce una maggioranza più ampia di quella che le è garantita dalla coalizione «Ursula» composta da popolari, socialisti, liberali, sotto l’egida dei governi di Francia e Germania. Per quanto resti temibile l’incognita dei franchi tiratori (soprattutto dell’ala destra del Ppe, indispettita per il carattere di centrosinistra del programma che oggi von der Leyen leggerà agli europarlamentari), tuttavia il margine di sicurezza per il bis è ampio. Conseguenza di questa lunga premessa: i voti di FdI (24) e in generale del gruppo dei Conservatori (78) sono a questo punto meno essenziali di quanto fossero solo pochi giorni fa.

Ciò non toglie che la trattativa con Giorgia Meloni (la quale, ricordiamolo, nel voto del Consiglio europeo si è astenuta) sia tuttora in corso e la vedremo ufficializzata solo oggi. A tal punto sono apparse aperte tutte le strade, che ieri il partito di via della Scrofa ha lanciato una sorta di referendum tra gli iscritti per conoscere il loro parere sul voto da dare a Ursula.

In questa trattativa, in sostanza, Giorgia Meloni avrebbe chiesto – mettendo ora il cappello di presidente del Consiglio italiano ora quello di capo partito – una delega pesante per il ministro Raffaele Fitto (a scelta: Concorrenza, Mercato interno, Industria, Bilancio) senza però insistere sulla vicepresidenza esecutiva che andrà alla Francia e che è svanita nello stesso momento in cui Meloni si è astenuta in Consiglio europeo. Ma pare certo che la premier italiana abbia chiesto anche rassicurazioni su alcune questioni che il governo ritiene essenziali, come la questione annosa delle concessioni balneari – anche se questo può obiettivamente apparire un elemento assai residuale rispetto alle gigantesche emergenze che stanno investendo il mondo e l’Europa -. Mentre sull’immigrazione ci potrebbero essere delle consonanze con l’Italia, sul Green Deal Meloni non avrebbe ottenuto nulla: sulla base dell’intesa con i Verdi, von der Leyen non farà passi indietro sulla transizione ecologica, non ammetterà l’«ideologismo» delle scelte della Commissione nella passata legislatura, non proporrà di annacquare il programma di abbandono dei combustibili fossili. Questo motiverebbe una eventuale possibile astensione, se non addirittura un voto contrario (che impedirebbe a Salvini di attaccare la sua alleata-concorrente).

È pur vero che difficilmente l’Italia potrebbe permettersi di porsi in una posizione di aperto contrasto con la nuova Commissione: troppo difficili per noi sono le scelte dei prossimi anni per affrontarle con un atteggiamento ostile di Bruxelles. Senza contare che comunque nel voto del Parlamento europeo gli italiani della maggioranza di governo andranno in ordine sparso: a parte l’interrogativo su Meloni, di sicuro ci sarà il sì di Tajani a von der Leyen come il no di Salvini. Peraltro nel primo voto della nuova legislatura europea, gli italiani, di maggioranza e di opposizione, si sono già divisi tra loro: nella mozione sugli aiuti all’Ucraina è arrivato il voto favorevole di FdI e Forza Italia e quello contrario della Lega. Anche nell’opposizione il Pd ha votato a favore (con eccezione di Tarquinio e Strada) mentre i Cinque Stelle hanno votato contro.

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