L'Editoriale
Lunedì 24 Aprile 2023
Voto locale a sinistra, nel mirino il ballottaggio
IL COMMENTO. La mappa politica dell’Italia ha sempre avuto una peculiarità che la distingueva da tutte le altre democrazie. Consisteva nella distribuzione delle sue culture partitiche a macchia di leopardo. Al Nord, nel Veneto e nell’alta Lombardia, era insediata una «bianca», ossia cattolica. Al centro, in Emilia-Romagna, Toscana e Umbria, dominava quella «rossa». Comunista. A partire dell’ultimo quarto del secolo scorso, con la crisi delle ideologie, che avevano da sempre vincolato il voto degli italiani ai partiti di riferimento, le appartenenze si sono progressivamente allentate.
Gli orientamenti politici si sono resi più fluidi. Scopriamo ora la comparsa di una nuova asimmetria. Non più tra diverse zone, ma tra città capoluogo e la provincia delle stesse regioni. Il centrodestra è appena prevalso in sede nazionale e regionale, mentre per lo più soccombe a livello comunale, soprattutto quando si tratta di grandi capoluoghi. Milano, Torino, Roma, Napoli sono città tutte governate dal centrosinistra. Quel che avviene su scala nazionale si ripete a livello regionale. Se guardiamo alla nostra Lombardia, vediamo che insieme a Milano, anche Bergamo, Brescia, Mantova, Cremona, Pavia, ultimamente persino Varese, culla del leghismo, hanno sindaci di centrosinistra, mentre al Pirellone è stato confermato un presidente di centrodestra.
Un fenomeno analogo s’è verificato recentemente in Friuli-Venezia Giulia. È fresca la vittoria di un esponente di centrosinistra al ballottaggio per la poltrona di sindaco di Udine, realizzando un sorprendente recupero rispetto alla prima votazione. Siamo nella stessa regione in cui, poche settimane prima, il candidato di centrodestra è stato confermato governatore con più del 60% dei voti.
Questa asimmetria territoriale manifestatasi nella mappa politica del Paese è una novità assoluta. Come spiegarla? Non si può imputare alla diversità politica degli insediamenti territoriali. Tale dato valeva al tempo in cui i partiti avevano un saldo radicamento locale. Le città confermavano di regola lo stesso orientamento politico delle regioni. L’odierna difformità di comportamento degli elettori non si può nemmeno attribuire alla sola qualità delle candidature proposte. È pur vero, tuttavia, che nel recente rinnovo delle amministrazioni di Milano e Roma il centrodestra ha fatto del suo meglio per far vincere gli avversari, presentando candidature impossibili. Non si può dire però altrettanto per altre città.
Un’utile indicazione ci può venire forse dal fatto che il centrosinistra risulta in genere favorito nel ballottaggio. Segno, questo, che la proposta dei progressisti risulta più attrattiva per l’elettorato non di appartenenza. Questo, posto di fronte ad un’alternativa secca, mostra di prediligere il campo progressista. Ne è consapevole il ministro Calderoli che, non a caso, propone di abolire il ballottaggio assegnando la vittoria al candidato che al primo turno ottiene più del 40%. A giocare un ruolo decisivo nel voto comunale è il cosiddetto «ceto medio riflessivo», ossia quel segmento di opinione pubblica formata dai lavoratori intellettuali (insegnanti, professionisti, dipendenti pubblici) il cui orizzonte culturale si sintonizza preferibilmente con i valori del politically correct. Questo segmento di opinione pubblica, numericamente consistente e politicamente influente nelle città, condivide con la sinistra sentimenti di eguaglianza, di inclusività, di avversione verso ogni pregiudizio: razziale, etnico, religioso, di genere, di orientamento sessuale. Proprio quei principi e ideali che la destra o non condivide o apertamente avversa.
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