L'Editoriale
Giovedì 13 Febbraio 2020
Vittimismo, tattica
dai rischi elevati
E processo sia. Matteo Salvini si avvia dunque a essere giudicato dalla magistratura per un presunto reato di sequestro di persona aggravato nella vicenda dei 131 profughi tenuti al largo nel Mediterraneo sulla nave Gregoretti che li aveva soccorsi. Una vicenda simile a quella del «caso Diciotti». E di altri che probabilmente arriveranno, uno dopo l’altro. Di fronte a questa offensiva giudiziaria, Salvini ha deciso di agevolare il lavoro dei suoi accusatori e di accettare il processo.
Per questa ragione ha fatto uscire dall’aula i senatori leghisti non facendoli votare per dimostrare che non si opponeva all’autorizzazione che infatti l’aula ha concesso confermando peraltro il giudizio preliminare della Giunta. È del tutto evidente l’idea che Salvini si è fatto di come cavalcare questa faccenda. Ma sono chiari anche i rischi cui il capo leghista si espone. Lui da adesso in poi batterà su due tasti: primo, che viene processato per aver fatto il suo dovere «di cittadino italiano e di padre» difendendo i confini nazionali; secondo che, in quella scelta politica e di governo, il M5S e il presidente del Consiglio erano del tutto informati e concordi con lui, e se adesso hanno cambiato la versione dei fatti è per paura, per vendetta, per mantenere la poltrona, per opportunismo politico.
Non c’è alcun dubbio che questi argomenti abbiano una presa fortissima sull’elettorato che guarda all’ex ministro dell’Interno come a una speranza e una difesa contro l’immigrazione sregolata, la perdita dell’identità, la globalizzazione, l’Europa matrigna, ecc. E c’è da giurare che nel ruolo di vittima Salvini sarà insuperabile, e batterà tutte le piazze d’Italia - a cominciare da quelle in cui presto si voterà per un’altra tornata di regionali - alla ricerca di maggiori consensi. Che sono sempre molto alti, beninteso: tuttora la Lega viene quotata al di sopra del 30 per cento dei voti, il doppio dei grillini ormai in rotta elettorale; una volta e mezzo il Pd in leggera ripresa, poco meno del triplo di Fratelli d’Italia che pure registra una crescita significativa.
C’è un però, colto da tutti i collaboratori e sodali leghisti: il però sta nel rischio che Salvini corre con questa tattica. Un processo per sequestro di persona plurimo non è una sciocchezza, si rischiano dodici anni. In caso di condanna definitiva Salvini dovrebbe abbandonare la politica come accadde a Berlusconi, per effetto della legge Severino. Ma anche senza guardare così lontano - chissà quando potrà arrivare il verdetto della Cassazione - basterebbe una condanna in primo grado per ostruire al leader del Carroccio la candidatura a premier a nome di tutto il centrodestra. Come potrebbe gareggiare per palazzo Chigi con un piombo così pesante sulle ali? È per questo che tutti, a cominciare dalla sua ascoltatissima consigliera giuridica Giulia Bongiorno, lo hanno scongiurato di cambiare idea e di battersi affinché l’autorizzazione venisse negata. Ma Salvini non ha voluto dar retta: seguirà la strada che ha scelto, diversa peraltro da quella del caso Diciotti quando combattè per sottrarsi all’accusa dei giudici. Se nella Lega c’è il sospetto – e c’è – che Salvini sia finito nel mirino di una parte della magistratura, il timore è che presto il leader vincente possa finire azzoppato.
E chissà, forse è anche per questo, o forse per i dissapori per le candidature regionali nel Sud, che si riattizzano i sospetti sulle reali aspirazioni di Giorgia Meloni: leader in crescita, donna, simpatica, accreditata in America, più attenta alle parole del suo potente alleato. Che infatti poco gradisce questa possibile, ventura diarchia nella coalizione. Non è irragionevole pensare che anche per questo Salvini abbia ingaggiato proprio con la Meloni un braccio di ferro sui candidati governatori, dando la sensazione di voler ricordare con una certa ruvidezza chi è che comanda nella coalizione che nella prossima legislatura potrebbe governare il Paese.
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