L'Editoriale
Martedì 14 Giugno 2022
Vincitori, sconfitti e il rischio che il conto sia presentato al governo
L’editoriale Viste come le prove generali del 2023, le elezioni in un migliaio di Comuni hanno dato una prima risposta alla posta in palio: la corsa per la leadership fra Salvini e Giorgia Meloni, lo stato di salute del «campo largo» del Pd.
Il voto ha premiato il centrodestra che conquista al primo turno Palermo, Genova e L’Aquila, mentre vanno ai ballottaggi Verona, Parma e Catanzaro. C’è la conferma di un orientamento complessivo favorevole al centrodestra che dispone di una riserva e di un bacino elettorali più ampi del centrosinistra: quando si presenta unito e azzecca il candidato, fa il risultato. Stavolta si trattava anche di misurare la gerarchia nel centrodestra, la cifra politica dirompente, e qui sono dolori per Salvini: la Lega, nel voto di lista, precipita quasi dovunque dietro Fratelli d’Italia. Anche nelle fortezze del Nord, in quello che potrebbe essere un sorpasso a suo danno, persino nell’area del dominio ex lumbard. Perde pure nel territorio fraterno della Bergamasca: Brembate, roccaforte storica, e Cisano.
Giorgia Meloni è talmente soddisfatta da rigirare il coltello nella piaga, invitando gli alleati a staccare la spina a un governo non più rappresentativo del Paese, in quanto il peso del partito di maggioranza relativa (Cinquestelle) è spaiato rispetto all’Italia di oggi. Sapendo che forse i suoi partner vorrebbero, ma che non possono, specie ora: si tratterebbe, da parte di Salvini e di Berlusconi impegnati in un percorso federativo per imbrigliare la Meloni, di riconoscere la leadership della leader di Fdi. Un momentaccio per Salvini, che dal Papeete in poi ha subito rovesci e da tempo è in appannamento strategico. Stretto fra picconata referendaria subita e sbandata putiniana. Se il centrodestra ha un problema di guida, per il Capitano potrebbe trattarsi di sopravvivenza. Per quanto il partito sia disciplinato, lo stato maggiore leghista, governista e territoriale, fatica a riconoscersi negli azzardi del segretario, nel buio di una solitudine decisionale.
Più articolato il risultato nel centrosinistra. Il Pd, nel voto di lista, diventa il primo partito in Italia e il punto di riferimento di tutta l’area progressista: Verona e Parma sono contendibili, Lodi è conquistata e a Como è avanti. Il lato debole del «campo largo» è il flop grillino: era sì scontato a livello territoriale, ma s’inserisce in uno smottamento di gran carriera. L’alleanza dall’area centrale a tutta la sinistra è da verificare. Calenda, l’emergente in senso relativo, se va da solo recupera voti dal centrodestra, ma se è in coalizione con il centrosinistra li perde. Nell’ipotesi di una polarizzazione fra i due poli alle elezioni del prossimo anno, i voti dell’elettorato centrista andrebbero a beneficio del centrodestra.
I costi politici del referendum e delle comunali quanto possono incidere sul governo? Il primo appuntamento è il passaggio al Senato della riforma della Giustizia e, a scalare, la questione sociale del salario minimo e del cuneo fiscale, oltre all’appuntamento del 21 giugno sulle comunicazioni di Draghi in Parlamento relative alle forniture di armi all’Ucraina, più la prossima stretta della Bce sui tassi che offre il destro ai due gemelli diversi (Salvini e Conte) di riattivare il malcelato euroscetticismo. Il governo riceve la copertura dal Pd, qualche distinguo da Berlusconi e il sostegno freddo a giorni alterni di Salvini e di Conte. Due leader logorati, che proprio per questo hanno bisogno di riconnettersi con la realtà e di scaricare sull’esecutivo i propri limiti. Sapendo tuttavia di non poter tirar troppo la corda: per loro, il superamento del limite sarebbe un’avventura al buio.
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