Venezia senza mostri
salvezza a tempo

In coincidenza con i 1600 anni dalla nascita di Venezia, i ministri Cingolani, Giovannini, Garavaglia e Franceschini annunciano il dirottamento delle grandi navi da crociera che attraversano il canale della Giudecca, a ridosso del Canal Grande. Chi scrive ancora si ricorda lo sgomento misto a incredulità alla vista di uno di questi grattacieli galleggianti spuntati quasi all’improvviso a pochi metri dai turisti che passeggiavano ignari tra fondamenta, calli e campielli, nell’incanto del fragile ricamo della Laguna. Lo stesso che probabilmente sortirebbe a Firenze il passaggio di un transatlantico che solcasse l’Arno osservato da Ponte Vecchio. La sola vista di questi «mostri» sarebbe sufficiente a chiedersi come abbiano potuto transitare indisturbati a due passi da piazza San Marco per tanti anni. Ma la risposta ovviamente è semplicissima: quei colossi scaricano ogni anno centinaia di migliaia di turisti per la gioia di commercianti e ristoratori e di tutto l’indotto lagunare.

Il compito della politica è quello di bilanciare i costi e i benefici di determinate operazioni soppesando interessi privati e pubblici. Oltretutto a lungo andare anche il turismo ci rimetterà di fronte ai danni prodotti da quelle città galleggianti. Se vogliamo mettere da parte la bellezza di Venezia violata da quei muraglioni che offendono lo sguardo e l’udito (e la bellezza della Serenissima, patrimonio dell’umanità, ha i suoi sacrosanti diritti) consideriamo i danni prodotti dall’inquinamento. Ogni anno, in media, 68 grandi navi stazionano nella Laguna, per un totale di 8 mila ore in porto con i motori accesi e una conseguente emissione di 27.520 kg di ossido di zolfo, 600.337 kg di ossido di azoto e 10.961 kg di particolato.

E che dire della sequela di incidenti provocati, come quello del giugno del 2019, quando una nave sbagliò manovra per travolgere un battello fluviale e finire contro la panchina di San Basilio? Non basta? Allora facciamo due conti esaminando la superficie d’acqua spostata da una nave da crociera di sessantamila tonnellate (ma queste imbarcazioni arrivano fino a novantamila) che galleggia su una superficie d’acqua profonda un metro, massimo un metro e mezzo, per una quantità di mare pari al suo peso. Sessantamila tonnellate d’acqua che vanno a impattare sulle fondamenta di legno su cui si regge come una palafitta tutta Venezia. Il risultato è che spesso queste correnti marine creano onde d’urto e maree devastanti, oltre a scavare nei fondali solchi che fanno sprofondare centimetro dopo centimetro una delle meraviglie assolute del genere umano.

Eppure sono decenni che si parla di deviare la rotta dalla Giudecca a vie d’accesso più sicure, come il canale di Malamocco, fino all’approdo a Marghera, oppure di altri canali che stanno alla larga dal centro della città e dal suo Canal Grande. La storia delle grandi navi che solcano per Venezia lambendo il Canal Grande è una storia di divieti e di revoche che va avanti almeno da un decennio. Già nel novembre del 2017 un altro Comitato interministeriale per la salvaguardia di Venezia aveva previsto l’entrata da Malamocco, percorrendo il Canale dei Petroli con terminale Marghera.

Oggi i successori finalmente adottano quella soluzione, precisando che però si tratta di una misura «temporanea». Proprio così: «temporanea», in attesa di ulteriori soluzioni. L’impressione è che si tratti solo di un ennesimo capitolo, quasi una sospensione, anche perché di turisti in tempi di pandemia non ne arrivano e quindi non si fa molta fatica a emettere decisioni del genere. Ma l’impressione è che sulle grandi navi da crociera che attraversano la Serenissima non sia stata ancora pronunciata la parola fine.

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