Vaccinazioni la giustizia
e le parole sbagliate

Nei giorni scorsi la magistratura italiana si è spaccata sulla priorità che dovrebbe essere riservata alla professione nelle vaccinazioni e sulle modalità per esercitarla. Le nuove linee guida nell’ultimo decreto cancellano infatti la norma presente nelle precedenti, approvate dal Parlamento nel dicembre scorso, che consideravano i tribunali, insieme alle scuole, servizi pubblici essenziali che dovevano essere garantiti procedendo alla somministrazione delle dosi agli addetti. L’allarme è giustificato ma il tono minaccioso è da respingere. Il presidente dell’Associazione nazionale magistrati Giuseppe Santalucia, parla infatti di «una presa di posizione forte», con l’invito ai dirigenti degli uffici giudiziari ad adottare «a tutela della salute, energiche misure organizzative al fine di rallentare immediatamente tutte le attività dei rispettivi uffici, senza escludere, nei casi più estremi, anche la sospensione dell’attività giudiziaria».

Richiamo irricevibile da chi rappresenta uno dei tre poteri dello Stato. La magistratura ancora una volta tende a risolvere la questione con decisioni proprie, invece di chiedere al Parlamento e al governo di intervenire esercitando i loro poteri costituzionali. È un vecchio vizio quello di confondere l’autonomia con una specie di autogoverno extraterritoriale. Certo, il Parlamento si è visto modificare una scala di priorità nelle vaccinazioni che aveva approvato senza nemmeno chiederne ragione al governo. Il sindacato della magistratura ha il diritto di lamentarsene ma non di invitare i dirigenti degli uffici a obbedire all’Anm e non a Palazzo Chigi. Una presa di posizione che non è piaciuta a importanti Procuratori, come Francesco Greco di Milano («Non c’è servizio pubblico che tenga davanti alla priorità di salvare vite umane») o Francesco Saluzzi, a capo della Procura generale del Piemonte e della Val d’Aosta («Sarebbe stato meglio rimanere zitti»), mentre per la vice presidente della sezione Gip di Milano Ezia Maccora (già operativa a Bergamo) «la priorità sono i fragili».

Ma un’altra vicenda in questi giorni ha fatto parlare della categoria non per inchieste o sentenze. Il Procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, noto per le sue inchieste contro la mafia, ha redatto la prefazione di un libro raggelante scritto dal collega e amico Angelo Giorgianni e dal medico Pasquale Bacco. Il titolo dice già molto: «Strage di Stato: le verità nascoste del Covid-19». Il filo conduttore è il solito becero, greve armamentario del negazionismo complottista: la pandemia sarebbe «uno strumento di ingegneria sociale che serve per realizzare un colpo di Stato globale» ordito da ebrei, i vaccini «acqua di fogna» «che possono trasformare l’uomo in ogm». Gratteri si è difeso sostenendo di non essere un negazionista, di essersi vaccinato e di aver voluto dare con la prefazione un contributo sul ruolo delle mafie nella crisi economica generata dal virus. Ma presentando il volume scrive anche che «nell’attenta esegesi del libro affiora un mosaico in cui ogni tassello trova la propria collocazione», «un libro inchiesta che solleva angosciosi interrogativi, degni di approfondimento nelle sedi competenti».

In «Strage di Stato» c’è anche un passaggio che fa molto male a noi bergamaschi, quando gli autori affermano che «il macabro scoop dei camion dell’Esercito che portavano le salme a Bergamo» è stata una messa in scena «per convincere la città dell’esistenza della peste». Parole gravissime e denigratorie per tutta la città, nuovo sale su una ferita aperta in particolare nei parenti delle vittime che erano su quei camion e che fa il paio con quanto affermò nel dicembre scorso la consigliera comunale della Lega a San Casciano, in Toscana, Eleonora Leoncini, per la quale «i camion di bare erano una fake news».

Queste persone scollegate dalla realtà andrebbero isolate e invece scrivono libri o fanno politica. Ci rincuora però la solidarietà ricevuta da tutto il mondo, scosso da quella foto. Nei giorni scorsi i giornali della capitale bosniaca hanno titolato così la prima pagina: «Sarajevo è Bergamo», riprendendo l’affermazione del premier del cantone della città martoriata dall’assedio durato quasi quattro anni, Edin Forto: «Noi non aspettiamo più che si verifichi lo scenario Bergamo, noi siamo Bergamo». Nella regione il numero di contagi e di morti di Covid è fuori controllo, gli ospedali pieni e con un numero di respiratori inadeguato alle richieste d’aiuto. Chi ha conosciuto la sofferenza vive nella realtà. È ora di smetterla di sfregiare il dolore di Bergamo.

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