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( foto ansa)
MONDO. Da qualunque punto di vista lo si guardi, il discorso del vice-presidente Usa J. D. Vance alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco ha fatto un pezzo di storia. E un altro pezzo, forse, lo faranno le sue conseguenze.
Di già acclarato c’è il distacco profondo che gli Usa di Donald Trump sentono nei confronti di un’Europa che giudicano vecchia, indecisa e soprattutto malata di una divaricazione profonda tra gli interessi delle élite al potere e il sentimento profondo delle popolazioni. Vance ha fatto nomi e cognomi, puntando il dito contro l’ex commissario europeo Thierry Breton (che si era felicitato per l’annullamento del primo turno delle elezioni in Romania), il Regno Unito, la Svezia e soprattutto la Germania. Alla Conferenza (e quindi a Scholz) ha rimproverato di aver escluso dai lavori i partiti rampanti della destra. E a tutti ha detto che «nessun elettore in questo continente è andato alle urne per aprire le porte a milioni di immigrati non controllati».
Una scomunica in piena regola che apre un solco inedito tra le due sponde dell’Atlantico. E che si aggiunge alla volontà di escludere la Ue dalle trattative sull’Ucraina, ai dazi già varati dagli Usa su acciaio e alluminio, a quelli prospettati, agli ultimatum sulle armi e sul gas Usa da acquistare in maggiore quantità. Completa, insomma, un reset dei rapporti che la Casa Bianca pare decisa a trasformare in un braccio di ferro permanente. Mentre si sente autorizzata da un lato a minacciare annessioni di Paesi altrui, a ipotizzare la deportazione dei palestinesi e a realizzare quella dei migranti che si trova in casa, e dall’altro a distribuire lezioni di democrazia.
C’è la volontà di escludere la Ue dalle trattative sull’Ucraina, ai dazi già varati dagli Usa su acciaio e alluminio, a quelli prospettati, agli ultimatum sulle armi e sul gas Usa da acquistare in maggiore quantità
E poi ci sono, appunto, le conseguenze. E qui siamo nel campo delle ipotesi. La prima è la convocazione da parte di Emmanuel Macron del summit di Parigi, dove una serie di Paesi e organizzazioni dovrà studiare il modo per reagire all’offensiva americana. L’iniziativa è più che doverosa ma sarebbe difficile chiamarla «europea». Intanto a Parigi arrivano Germania, Regno Unito, Italia, Polonia, Spagna, Olanda e Danimarca. Più Ursula von der Leyen, che parlerà a nome della Ue, e Mark Rutte, segretario generale della Nato.
Intanto a Parigi arrivano Germania, Regno Unito, Italia, Polonia, Spagna, Olanda e Danimarca. Più Ursula von der Leyen, che parlerà a nome della Ue, e Mark Rutte, segretario generale della Nato
A parte gli assenti, e tra questi quelli che non si dissoceranno da Trump come l’Ungheria o la Repubblica Ceca, il mix dei presenti è strano: Londra è quella della Brexit, von der Leyen ha un consenso fragile, Rutte rappresenta un’Alleanza atlantica che da sempre ha negli Usa l’azionista di maggioranza. Inoltre: sul tema dei migranti Olanda e Polonia non sono poi troppo lontane dalle posizioni di Vance. Che cosa potrà uscirne? Il dato positivo sta nella dimostrazione che l’Europa non è del tutto inerte di fronte all’aggressività trumpiana. Che si rende conto di correre un rischio enorme, ovvero quello di finire emarginata in un mondo in cui la ridefinizione dei blocchi, tra i nuovi Usa, una Russia che potrebbe tornare in pieno sulla scena internazionale, la Cina sempre più protagonista, l’India dalle mille ambizioni e i Brics, procede di giorno in giorno. E che forse comincia a riflettere su quale errore sia stato, negli anni scorsi, appiattirsi in quel modo sulle strategie degli Usa.
Attenzione alle Russia che potrebbe tornare in pieno sulla scena internazionale, la Cina sempre più protagonista, l’India dalle mille ambizioni
Già nei giorni scorsi Macron aveva suggerito che Trump può anche dare la sveglia alla torpida Ue. Poiché è anche svelto e astuto, ha subito approfittato del summit per resuscitare un suo vecchio cavallo di battaglia, quello dell’esercito europeo. Idea suggestiva ma che sottolinea il problema di fondo dell’Unione. Un esercito serve se sa che cosa fare. E questo glielo può dire solo la politica. M a la Ue non ha una politica estera, e non ce l’ha perché non ha mai colmato i buchi istituzionali che l’affliggono. Ancor più oggi, dopo aver messo la politica estera in mano a una rappresentante dell’Estonia (un milione di abitanti) e quella di difesa a un lituano (3,5 milioni di abitanti). Paesi molto filo-americani che, sarà un caso, a Parigi non vanno.
La prova del nove, per la spina dorsale dell’Europa, è già arrivata. Se Usa e Russia trascineranno l’Ucraina in un negoziato senza la Ue (che nella difesa di Kiev ha investito quasi 140 miliardi), il colpo sarà da ko
La prova del nove, per la spina dorsale dell’Europa, è già arrivata. Se Usa e Russia trascineranno l’Ucraina in un negoziato senza la Ue (che nella difesa di Kiev ha investito quasi 140 miliardi), il colpo sarà da ko. Ancor più se, come avevamo già ipotizzato in queste colonne, avrà luogo, magari a Mosca il 9 maggio (80° anniversario della vittoria su nazismo), un incontro Trump-Putin-Xi Jinping, come una nuova Yalta che di giorno in giorno sembra più probabile. Ai convenuti di Parigi il compito arduo di studiare una via d’uscita.
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