Una stagione turistica
fra egoismi e barricate

A marzo, lo tsunami dei viaggi cancellati. Ad aprile, l’invito di Ursula Von der Leyen a non programmare le vacanze. A maggio la parola magica «turismo di prossimità» (stai il più possibile vicino a casa). A giugno il Governo apre le regioni, ma c’è chi fa le barricate. L’Europa è divisa fra chi ci accoglie e chi ci isola. Così l’Italia vorrebbe chiudere le porte a chi non vuole gli italiani. Ci aspetta una pazza estate. Una giungla di voci disorienta operatori turistici e coloro che desiderano distendersi su una spiaggia o inerpicarsi su un monte. Un guazzabuglio aggrovigliato dalla matassa di decreti e regole: sanificazioni, mascherine, guanti, gel, per una vacanza sicura. E ospedalizzata. Sì, in vacanza si andrà, dove e come resta un mistero.

L’italiano è in cima alla black list dei turisti sgraditi da alcuni Paesi europei. I lombardi rischiano di passare per untori 2.0 nella rinnovata guerra fra Nord e Sud, isole comprese, e i Governatori di alcune Regioni chiedono patenti di immunità, come le «fedi di sanità» della peste di manzoniana memoria. Rimanendo tra i confini del Bel Paese, occorre una seria riflessione sull’estate dell’anno bisesto, più funesto di sempre.

Dov’è finita l’Italia unita dalle Alpi a Lampedusa, dalle suonate sui balconi, dagli inni di Mameli gridati a squarciagola? Il vento di solidarietà che soffiava su tutto lo Stivale, utile a esorcizzare la paura e a far sentire l’unità di popolo, è diventato uno spiffero d’aria. Tutto è tornato come prima. Il tempo per le vacanze si è già assottigliato, restano poche settimane per programmare un soggiorno. Alcuni operatori turistici si sono mossi per tempo, ma 1 italiano su 2 le vacanze non le farà.

I governatori devono fare la loro parte. Localismi, egoismi, steccati fra Regioni, danno un’immagine distorta, pessima, agli occhi dei Paesi esteri. D’accordo, serve una sicurezza sanitaria, ma è paradossale che per recarsi in Francia, Olanda, Portogallo, Spagna, serva solo la carta d’identità (al limite un’autocertificazione), mentre Sicilia e Sardegna chiedano un passaporto sanitario (incostituzionale) che forse solo ora sarà sostituito da un’autocertificazione.

Pure i Comuni devono fare la loro parte. Se vogliamo incentivare il «turismo di prossimità» occorre investire - da subito - in termini di servizi e di promozione (anche se tardiva). In questi tempi si è parlato spesso di voucher per i vacanzieri, di agevolazioni fiscali e contributi per gli operatori, mai della creazione di nuovi prodotti turistici. Vanno bene i trasporti gratuiti, le card per gli sconti nei musei, ma servono elementi di novità. Ad iniziare da una campagna pubblicitaria nuova di zecca, un restyling dell’immagine promozionale delle città. Servono idee innovative, che nelle città d’arte vadano a braccetto con la cultura, che traggano ispirazione dalla storia locale. È necessario diversificare l’offerta, puntando non più solo sui luoghi canonici di una visita scontata, ma proporre eventi che mettano in sinergia turismo e spettacolo, gastronomia e folclore. E poi percorsi ad hoc, strade a tema, gli aspetti più particolari di una città, diversamente il turista non tornerà più.

Sulle vacanze pende poi l’incognita dei costi. In alcuni stabilimenti balneari e hotel si pagherà una sorta di covid-tax per coprire i costi di sanificazione, costi che non è giusto accollare al turista. Le vacanze, i pacchetti, i soggiorni turistici in Italia hanno già prezzi di gran lunga superiori rispetto ad alcuni Paesi europei. È una nota dolente, spinge il turista a scegliere una meta fuori dal Bel Paese. Che resta pur sempre bello. Ma su questo fronte sempre più addormentato.

© RIPRODUZIONE RISERVATA