Una potenza spaccata, in grave pericolo

MONDO. Arriveranno le indagini e con esse le spiegazioni, magari qualche rivelazione.

Conosceremo meglio la storia del giovane Thomas Matthew Crooks che voleva uccidere Donald Trump, mentre si disperderà la nebbia delle fantasie d’occasione, dal complotto alla «disattenzione» dei servizi segreti alla teoria dell’auto-attentato. Quella che resterà, invece, sarà la sensazione di aver assistito, attraverso i filmati in arrivo da Butler (Pennsylvania), a uno di quei momenti che hanno un impatto forte sulla storia di tutti noi. La discussione, ora, è tutta concentrata sugli effetti politici. La fotografia di Trump ferito che, mentre viene portato via di peso dagli uomini della scorta, alza il pugno e grida al pubblico del comizio «Fight! Fight! Fight!» (continuate a combattere!) sullo sfondo della bandiera a stelle e strisce, è già considerata uno degli spot elettorali più preziosi della storia degli Stati Uniti. Soprattutto se posta al confronto con certe immagini sconfortanti del rivale Joe Biden nei suoi momenti di senile debolezza. Di più: di qua un leader indiscusso, di là un presidente che viene via via abbandonato dai finanziatori, dagli alleati politici e persino da quel Barack Obama che nel 2008 lo portò alla Casa Bianca come vice presidente e nel 2016 fu il grande regista della sua ascesa alla presidenza. Il confronto, oggi, non potrebbe essere più impietoso.

Ma a dispetto dell’importanza planetaria di una sfida che deve scegliere il leader della massima superpotenza mondiale, ci preme sottolineare un altro aspetto. Il sangue di Donald Trump, sfuggito per pochi millimetri alla morte, ha di colpo nobilitato una campagna elettorale che fin qui aveva generato soprattutto sconforto. Di Biden abbiamo detto. Ma perché non dire anche della tristezza di due anziani candidati (81 e 78 anni) costretti a salire sul ring dei dibattiti e a farsi notare soprattutto per battute come «non ho capito che cos’ha detto e non l’ha capito nemmeno lui» (Trump di Biden) o «è andato con altre donne mentre sua moglie era incinta, ha la moralità di un gatto randagio» (Biden di Trump)? Di due grandi partiti che paiono smarriti e improvvisati, i Repubblicani che hanno un leader e nient’altro e i Democratici che dubitano del loro presidente-candidato ma tremano all’idea di passare la responsabilità alla sua vice Kamala Harris, che non amano e non stimano?

Perché non parlare di questi Stati, Uniti nel nome e divisi all’interno, spaccati in fazioni che paiono ormai incapaci anche solo di parlarsi: la provincia contro le grandi città, i bianchi contro le minoranze, i giovani a inseguire le loro cause senza riuscire a far breccia nel sistema. I procuratori liberal impegnati a perseguire Trump e la Corte Suprema pronta a concedergli la semi-immunità. Un Paese dove uno dei film più visto negli ultimi tempi (100 milioni di dollari di incassi) si intitola «Civil War» e ipotizza, appunto, la guerra civile negli States. Fantasia, se non fosse che secondo un recente sondaggio di Rasmussen Reports il 41% degli americani teme davvero che una guerra civile possa scoppiare nei prossimi cinque anni, con un 16% che giudica l’ipotesi «molto probabile».

Il tutto mentre le differenze politiche fra i contendenti spesso si riducono a poco più di questioni terminologiche. Biden invita Netanyahu alla moderazione regalandogli miliardi di dollari in armi perché possa sparare ai palestinesi di Gaza, Trump sta con Netanyahu senza se e senza ma. Trump aveva messo la Cina nel mirino di una guerra dei dazi e cercato una distensione con la Russia, Biden è più morbido con Xi Jinping e promette lotta eterna alla Russia, anche se entrambi sanno benissimo che il fronte è unico e il binomio Russia-Cina è oggi la vera alternativa al dominio globale americano.

Il rischio corso da Trump versato a Butler, viste le prime reazioni, può far rinsavire gli spiriti della superpotenza? Potrà far calare la retorica e il trash e riportare il confronto politico all’altezza del ruolo e delle ambizioni del Paese? Le prossime settimane saranno importanti. Soprattutto per Trump. Se vorrà cavalcare l’onda emotiva come un mezzuccio per mettere in difficoltà i rivali, anche a rischio di esasperare tensioni già alte, gli Usa forse ritroveranno un presidente ma certo non il leader di cui hanno bisogno.

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