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(Foto di Ansa)
MONDO. Secondo il vice premier Matteo Salvini «se uno riesce a mettere al tavolo Putin, Zelensky, Netanyahu e i Paesi Arabi, gli diamo il Nobel per la Pace».
Il riferimento è a Donald Trump. Le reazioni puramente emotive sono rischiose sia nella vita privata che nel giudizio su vicende pubbliche. L’affermazione del leader della Lega è la spia dell’eccesso di trionfalismo che da certi ambienti avvolge le prime mosse in politica estera del presidente degli Usa. Siamo all’inizio di un percorso negoziale, un passaggio senz’altro necessario e positivo però è precipitoso pensare che il conflitto russo-ucraino sia destinato a chiudersi a giorni. Come per ogni negoziato vanno definiti i contenuti sui quali raggiungere un accordo.
Ma c’è una novità storica. Dopo che la Casa Bianca in versione trumpiana ha riabilitato la Russia di Vladimir Putin riconoscendole il ruolo di impero, completando la triade, con Usa e Cina, di chi detiene i rapporti di forza nel mondo, ieri a Riad per la prima volta dopo quasi quattro anni si sono incontrati rappresentanti di alto livello di Washington e di Mosca, in mezzo i mediatori sauditi: da una parte il Segretario di Stato Marco Rubio, il consigliere per la Sicurezza nazionale Mike Waltz e l’inviato per il Medio Oriente Steve Witkoff, dall’altra il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov e il consigliere diplomatico del Cremlino Iuri Ushakov. Escluse, almeno per ora, Ucraina e Ue. Ma lo stesso Rubio ha assicurato che «anche l’Europa dovrà sedersi al tavolo dei negoziati».
Il Dipartimento di Stato americano ha reso pubbliche le condizioni concordate dalle due delegazioni: «Nominare i rispettivi team di alto livello per iniziare a lavorare su un percorso per porre fine al conflitto al più presto in un modo che l’accordo sia durevole, sostenibile e accettabile da tutte le parti», «normalizzare» le relazioni diplomatiche Usa-Russia e «gettare le basi per una futura cooperazione fra i due Paesi su questioni di reciproco interesse geopolitico e sulle storiche opportunità economiche e di investimento» dopo la conclusione della guerra. Poco o nulla sui contenuti e suoi nodi del piano di pace.
Ma il «Telegraph» e il «Financial Times» hanno visionato un documento confidenziale: in cambio del sostegno militare ricevuto, a Kiev verrebbe richiesto non solo lo sfruttamento dei giacimenti minerari ma anche di port i, infrastrutture e di gas. In generale emerge dai due imperi un inaccettabile atteggiamento paternalistico verso lo Stato invaso e smembrato, come nella richiesta delle elezioni presidenziali, vietate dalla Costituzione ucraina perché vige la legge marziale, sancita in seguito all’aggressione. Che sia la Russia a dettare questa condizione è una tragica beffa: nei 25 anni di potere di Putin, l’Ucraina ha avuto cinque presidenti di diverso orientamento politico.
Il ministro russo Lavrov ha dichiarato che Volodymyr Zelensky dovrebbe essere fatto «ragionare e ricevere una bacchettata sulle mani». Che dire invece di Putin, ricercato dalla Corte penale internazionale dell’Aja per crimini di guerra in seguito al trasferimento a forza di migliaia di minori ucraini in Russia? Che dire di Putin che ha ordinato una guerra provocando in Ucraina secondo l’Onu 11mila vittime civili, 70mila dispersi, 7,5 milioni di profughi, 6 milioni di sfollati, la distruzione di 130mila abitazioni, di 3.600 scuole e di 786 fra ospedali e luoghi di Pronto soccorso?
Tra un’Europa debole e una Russia condonata e riammessa fra i Grandi del mondo, l’Ucraina rischia di trovarsi sola. Il Cremlino ha aperto all’ingresso di Kiev nell’Ue, sapendo che richiederà anni, secondo i criteri di Bruxelles. Per la ricostruzione serviranno 500 miliardi di euro, l’economia ucraina è a pezzi e il 75% della popolazione ha difficoltà ad arrivare a fine mese. La pace giusta è rara, ma si eviti almeno di umiliare uno Stato martoriato e un popolo annichilito. Se questo è il nuovo ordine mondiale...
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