Un oltraggio, ripulire le facciate non basta

ITALIA. L’oltraggio che la scorsa notte è stato portato a termine con successo - dal punto di vista degli autori - contro il Municipio di Bergamo deve rappresentare un punto di non ritorno.

Senza drammatizzazioni eccessive, ma senza nemmeno (più) troppo derubricare. Perché passo dopo passo, dai cavalcavia si è passati ai rondò (e nemmeno quello rifatto del casello A4 è stato risparmiato, l’oltraggio è stato cancellato, dopo mesi, solo qualche settimana fa), dai rondò si è passati ai palazzi, dai palazzi si è passati al Palazzo. E se è vero che la manifestazione di un’idea, anche sottoforma di dissenso clamoroso, in un Paese libero non può destare scandalo, qui a destare scandalo è la modalità, l’escalation.

A destare scandalo, una volta di più, è che questa città che ancora porta i segni della mattanza del Covid (7.500 vittime, a beneficio delle memorie corte), possa e in parte debba sopportare ancora l’insulto di chi accosta i vaccini alla morte. Mescolando il tutto in un minestrone di negazionismo che ormai non fa più distinzione tra cambiamento climatico, malattie, scienza. D’altronde, il presidente eletto degli Usa, che per debellare il Covid suggeriva di tracannarsi disinfettante, sta per mettere alla guida della Sanità americana un signore che di autorevole ha il cognome - Kennedy - ma solo quello.

Ma sorvoliamo sul merito, ammesso che un merito, nel campionario di panzane che vanno dal terrapiattismo all’alluvione spagnola causata da nuvole sparate in Marocco, fino a ogni voce del complottismo globale, ammesso che un merito veramente ci sia. Sorvoliamo sul merito perché la potenza del gesto della notte scorsa sovrasta il non senso delle scritte che hanno vandalizzato Palazzo Frizzoni e Palazzo Uffici.

«Sorvoliamo sul merito perché la potenza del gesto della notte scorsa sovrasta il non senso delle scritte»

Palazzo Frizzoni è la sede del Municipio. La sede dove tutte le opinioni sono rappresentate, quelle di maggioranza come quelle di opposizione, quelle che credono nella scienza come quelle, quando prendono voti, che la scienza la rifiutano. Colpire lì non significa solo manifestare un’opinione, ancorché facendo un danno e violando una serie di regole. Colpire lì significa fare un passo ancora, e fa specie che all’appello delle reazioni, quando ormai s’è fatta sera, manchi qualcuna delle voci politiche che in Consiglio comunale siedono rappresentando i cittadini. Fa specie, perché il senso del ruolo dovrebbe suggerire di solidarizzare non con chi pro tempore occupa un incarico, ma con l’istituzione «casa di tutti», nel senso più ampio di Comune, dunque comunità.

È mancato il rispetto della nostra storia

C’è un senso di cittadinanza e di mancato rispetto della nostra storia, in questa vicenda. C’è un senso politico, istituzionale. Non si può però non vedere come questa vicenda chiami anche in causa un aspetto non secondario: è una città sicura quella in cui il cuore amministrativo, politico e simbolico del suo centro può essere oltraggiato in questo modo, nonostante la presenza dei più moderni sistemi di videosorveglianza che dovrebbero consentire tempestività d’intervento, possibilità d’inseguimento e non solo di postuma individuazione, che è comunque fondamentale? La risposta è, in fondo, contenuta nella stessa domanda.

Una città vulnerabile, pulire non basta più

L’immagine di Palazzo Frizzoni di ieri mattina restituisce il quadro di una città che, se non insicura, è quantomeno vulnerabile. Nessuno chiede militarizzazioni o manganelli facili. Ma forse è giunto il momento di segnare un netto confine tra ciò che è legittima manifestazione del dissenso, anche a colpi di panzane, e ciò che è altro. Un conto è ciò che indigna, un altro conto è ciò che deturpa,e magari viola articoli di codici. Lo si deve a una città che ha passato quel che ha passato, e alla memoria di chi quel conto l’ha pagato con la vita. Lo si deve ai suoi cittadini, anche a quelli che pur nel dissenso rispettano le regole. Ieri notte è stata altro. Ripulire velocemente è sacrosanto, ma forse per troppo tempo cancellare le scritte è stato un po’ come spazzare lo sporco sotto il tappeto, sperando che fosse l’ultima volta, e poi non lo era mai, e poi Palazzo Frizzoni. Ora no: pulire i muri non basta più.

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