Un mondo più vecchio e il declino da fermare

EUROPA. Cinquant’anni fa Jean Dutourd, membro dell’Accademia Francese, scrisse un romanzo distopico ambientato in una Francia e in un pianeta che da tempo hanno smesso di fare figli e che sperimentano un invecchiamento senza precedenti.

Un papà trentenne - mano nella mano con un bambino - si muove per Parigi. I due costituiscono uno spettacolo più unico che raro e tutti si voltano a guardarli stupefatti. Sullo sfondo si staglia una Torre Eiffel circondata da baracconi di alluminio vuoti, vestigia di una passata impennata del numero di abitanti alla quale si era fatto fronte con nuovi alloggi; i grattacieli della periferia sono trasformati in cimiteri ad alta quota, con gli appartamenti agli ultimi piani cosparsi di scheletri che nessuno ha più la forza di seppellire; la polizia è scomparsa, d’altronde in un mondo di super anziani nemmeno se ne sente il bisogno per carenza di crimini violenti.

L’età dello spopolamento

Il titolo che l’autore diede a questa sua distopia, allo stesso tempo angosciante e placida, fu «2024». Cinquant’anni dopo, i dati confermano che la fervida immaginazione di Dutourd ha intercettato anzitempo una tendenza senza precedenti: come ha scritto infatti lo studioso statunitense di demografia Nicholas Eberstadt in un saggio su Foreign Affairs, «gli esseri umani stanno per entrare in una nuova era della storia. Chiamatela ”l’età dello spopolamento”. Per la prima volta dalla Peste nera del 1300, la popolazione mondiale declinerà. Ma mentre l’ultima implosione fu causata da una malattia mortale trasmessa dalle pulci, quella in arrivo sarà dovuta interamente alle scelte compiute dalle persone».

Non si tratta di fantascienza né di un fenomeno confinato all’estremo Oriente. Nemmeno tre settimane fa, per la prima volta nella nostra storia, un ministro dell’Economia ha direttamente collegato l’andamento stentato della crescita economica italiana al malessere demografico che attanaglia il Paese

Che un diffuso spopolamento non sia solo fantascienza lo conferma una serie di indizi disseminati per il pianeta ai quali non si presta la dovuta attenzione. Reuters, in un reportage dei giorni scorsi sul Giappone, racconta la progressiva decadenza di Ino, città del sud del Paese specializzata nella produzione di carta. «Se non abbiamo persone, non possiamo fare prodotti e quindi profitti. Falliremo. È il più grande problema per le imprese piccole e medie», racconta sconsolato un produttore di tessuti e salviette disinfettanti che appena dieci anni fa aveva automatizzato massicciamente la produzione introducendo macchinari all’avanguardia e che oggi non ha dipendenti a sufficienza per farli funzionare a tempo pieno. In Giappone, nella prima metà di quest’anno, 182 aziende sono finite in bancarotta per carenza di lavoratori, il 66% in più dello scorso anno secondo i dati di Teikoku Databank, un record. La terza economia del pianeta, entro il 2030, fronteggerà un deficit di 3,4 milioni di lavoratori.

Non si tratta di fantascienza né di un fenomeno confinato all’estremo Oriente. Nemmeno tre settimane fa, per la prima volta nella nostra storia, un ministro dell’Economia ha direttamente collegato l’andamento stentato della crescita economica italiana al malessere demografico che attanaglia il Paese: «È vero che la crescita del Pil è asfittica – ha detto Giancarlo Giorgetti - ma ricordiamoci sempre che i Paesi in declino demografico, e purtroppo l’Italia lo è, fanno fatica a fare Pil». Né gli effetti dello spopolamento e dell’invecchiamento sono estranei al rallentamento economico della prima economia europea. La Bundesbank ha appena tagliato le stime di crescita del Pil della Germania a -0,2% nel 2024, prevedendo nel 2025 una crescita di appena lo 0,2% per il nostro principale partner commerciale. Tanto che l’ex cancelliera Angela Merkel, nella sua autobiografia, ha ammesso di essere diventata favorevole a una riforma del «freno al debito pubblico» (Schuldenbremse) - inserito nel 2009 nella Costituzione tedesca - così da favorire gli investimenti futuri, «per evitare lotte per la distribuzione nella società e per adattarsi ai cambiamenti nella struttura dell’età della popolazione».

Dallo Stato sociale alla formazione, dagli investimenti in tecnologia all’immigrazione, tutto dovrà cambiare. Non fasciamoci la testa prima di essercela rotta, le nostre società si sono già adattate a una delle più intense esplosioni demografiche della storia

Se per ragioni demografiche s’incrina perfino un totem della austerity tedesca, allora ha ragione Eberstadt quando afferma che «il terreno del rischio e dell’opportunità che si trovano di fronte le società e le economie muterà con lo spopolamento. E in tutta risposta i governi dovranno adattare le loro politiche per fare i conti con le nuove realtà». Dallo Stato sociale alla formazione, dagli investimenti in tecnologia all’immigrazione, tutto dovrà cambiare. Non fasciamoci la testa prima di essercela rotta, le nostre società si sono già adattate a una delle più intense esplosioni demografiche della storia. Sarà dunque possibile affrontare un’implosione di magnitudine simile, a condizione di non negare il fenomeno in atto e di dedicare impegno e creatività per superare le sfide emergenti che ci attendono.

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