L'Editoriale
Domenica 02 Luglio 2023
Un immane ecocidio, altra piaga per l’Ucraina
MONDO. Alcune cifre certificano il barbaro accanimento dell’invasione russa sulla popolazione ucraina: 198mila edifici civili distrutti, comprese scuole e ospedali, 6 milioni di sfollati e 8 milioni di profughi, gli eccidi di Bucha e di Mariupol, i 28mila morti.
È un bilancio parziale (la fonte è l’Onu) perché riferito al primo anno di guerra e alle zone non sotto occupazione russa, condizione che riguarda attualmente l’85% del territorio aggredito. Solo da Mariupol risultano ancora scomparse 20mila persone. Secondo la Banca mondiale e l’Unione europea, la ricostruzione materiale richiederebbe ad oggi 420 miliardi di dollari. Ma a questo bilancio se ne aggiunge un altro che dà la misura della pervicace distruttività del conflitto. «I danni climatici causati dalla guerra della Russia in Ucraina» è il titolo di uno studio presentato alla conferenza delle Nazioni Unite sul clima a Bonn da un gruppo di ricercatori guidato dall’olandese Lennard de Klerk. I guasti totali all’ambiente, a fine aprile, erano valutati intorno ai 52 miliardi di euro.
Le bombe hanno colpito raffinerie (60 solo dopo 4 mesi di guerra), depositi di carburante, capannoni, circa 900 impianti industriali. Abbattuti molti centri di depurazione delle acque e dighe. Nel primo anno di invasione ci sono stati 6.288 incendi, con 670mila tonnellate di gasolio e benzina andate in fumo. Sono stati bruciati 57mila ettari di foreste solo nei primi 6 mesi. Poi le conseguenze degli attacchi alla rete elettrica: per fronteggiare la mancanza di elettricità sono stati importati 120mila generatori diesel. Inoltre i bombardamenti hanno messo fuori uso il 90% delle pale eoliche e il 50% dei pannelli solari che producevano l’11% dell’elettricità nazionale. Colpiti gli impianti elettrici, saltano i depuratori e i liquami non filtrati vanno nei fiumi che finiscono nel Dnipro che tocca il delta del Danubio e le sue immense oasi tutelate. Tra novembre e dicembre 2022 quasi 16 milioni di cittadini non hanno avuto accesso all’acqua potabile.
Nell’acqua sono finiti i residui dei raid missilistici di 900 impianti industriali, chimici e acciaierie: piombo, bauxite, mercurio, uranio impoverito, soda caustica, zinco, nichel, sostanze altamente tossiche entrano nel mare d’Azov e nel fiume Dnipro, che sfociano entrambi nel mar Nero che a sua volta confluisce nel Bosforo e alla fine nel Mediterraneo. I ricercatori sostengono che la fauna ittica è stata quasi completamente uccisa fino alle coste della Crimea.
Inoltre l’Ucraina è diventata il più grande campo minato del mondo: 174mila km quadrati sono infestati dalle «bombe silenziose». È una superficie pari a sette volte la Lombardia: come se metà Italia fosse stata trasformata in un mostruoso tappeto dove ogni passo può essere letale. L’Onu preventiva che ci vorranno 37 miliardi di euro per completare la bonifica. Lo scorso 4 aprile i funzionari dello «United Nations development program» hanno lanciato un allarme: nelle zone minate vivono oltre 14 milioni di civili. Un terzo dei campi agricoli ucraini non è lavorabile, circa il 25% delle aziende agricole ha chiuso. Oltre 12mila km quadrati di riserve naturali sono andati distrutti o si trovano nelle zone di guerra contese tra i due eserciti, mettendo a rischio 600 specie di animali e 750 di piante.
Un vero «ecocidio» al quale vanno aggiunti gli effetti della distruzione della diga di Kakhovka, avvenuta il 6 giugno scorso, con l’inondazione di molte parti dell’Ucraina meridionale, provocando almeno 45 morti e decine di dispersi, rendendo necessaria l’evacuazione di oltre 20mila persone da centinaia di villaggi allagati. L’acqua della grande diga veniva utilizzata per l’agricoltura e per le necessità quotidiane di 700mila persone. Il crollo ha poi favorito l’ingresso nel Dnipro di grandi quantità di combustibile e di lubrificante per macchine dell’impianto idroelettrico di Kakhovka.
A fronte di queste inquietanti conseguenze, in Italia capita ancora di ascoltare dibattiti sulle responsabilità dell’invasione. È fuori di dubbio che il via libera all’aggressione dell’Ucraina va addebitato a Vladimir Putin. Una decisione criminale che sta avendo ripercussioni negative anche sulla Russia. Inoltre uno studio dell’«Institute for economics and peace» di Sydney dimostra come il ritorno della guerra in Europa abbia contribuito ad aggravare lo scenario globale, già in peggioramento da 15 anni. Attualmente sono 91 i governi coinvolti in qualche forma di conflitto, 238mila le vittime solo nel 2022. A ciascuno le sue responsabilità ma non si può più eludere il tema di un nuovo ordine mondiale equilibrato e giusto, che abbia come guida il sempre attuale diritto internazionale.
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