Un grande sforzo
e l’unità necessaria

La riapertura delle scuole dopo il lockdown è il più eloquente segno di uno sforzo di convivenza con il virus tuttora tra noi per ripristinare un grado accettabile di vita normale. Il carattere strategico dell’infrastruttura scolastica in questo senso è evidente: essa mette in moto milioni di persone che insieme restituiscono così linfa alla dinamica sociale, culturale, economica del Paese. In questo senso, provvedere alla ripresa delle lezioni è una sfida veramente impegnativa per il governo del Paese: il presidente del Consiglio Conte, la ministra Azzolina, il commissario Arcuri, in collaborazione con le Regioni, hanno dovuto assicurare un insieme imponente di misure, strutture, risorse come raramente è stato richiesto in passato. Ricordava Arcuri che in Italia si producono ogni anno circa 200 mila banchi scolastici, e che a fine ottobre ne saranno distribuiti quasi due milioni e mezzo: i numeri dicono tutto.

Naturalmente l’Italia è lunga e varia: quando avremo un bilancio meno improvvisato ad emotivo del riavvio scolastico potremo capire se la sfida è stata vinta e dove e perché invece è stata persa. Ci saranno sicuramente zone in cui il disagio ha superato l’opportunità, l’inefficienza ha oscurato la buona volontà, il burocratismo ha rallentato la voglia di fare.

Ma ci saranno anche molti altri esempi in cui ai ragazzi è stato offerto un servizio degno di questo nome. Senza dimenticare che la scuola italiana è da decenni un’articolazione pubblica sofferente, oppressa da mali antichi, riforme contraddittorie e talvolta sconclusionate, confusione di indirizzi e carenza di visioni strategiche: storie vecchie e mai risolte. Proprio questa scuola, cui sono stati via via ridotti i fondi, vittima dei tagli agli investimenti pubblici dovuti alla crisi finanziaria del 2011, è stato chiesto uno sforzo imponente.

È chiaro che a risponderne sarà il governo insieme alla sua maggioranza. Notiamo che il 14 settembre è arrivato appena ad una settimana dal voto del 20 e 21 in sette Regioni e in qualche migliaia di Comuni oltre che in tutta Italia per il Referendum confermativo della riforma costituzionale che taglia il numero di deputati e senatori. Difficile escludere che la buona o cattiva riuscita di questa ripartenza influisca sul voto, sulla fiducia nei confronti dei partiti al governo e sull’apprezzamento delle critiche dell’opposizione. Sarà Conte a portare il peso di questa prova, saranno i partiti alleati a fare i conti la prossima settimana.

Ma vorremmo dire che è tutta la classe politica che dovrebbe farsi carico della circostanza: la scuola è di tutti e tutti hanno interesse a che essa funzioni al meglio. Dunque neanche l’opposizione può sottrarsi alle sue responsabilità: va pur detto allora che certe critiche sono apparse condizionate dalle ragioni della polemica politica e dello scontro elettorale più che dalla volontà di contribuire, sia pure dai banchi della minoranza, alla felice realizzazione di un’azione collettiva finalizzata al bene comune. Sergio Mattarella, andando ad inaugurare l’anno scolastico a Vo’, il comune di cui tutti abbiamo appreso l’esistenza a causa della pandemia, ha invocato la solidarietà e l’unità intorno alla scuola che è cuore e cervello di un unico organismo nazionale. A quell’appello sarà bene che i partiti si adeguino se vogliono fornire all’elettorato la dimostrazione della loro maturità.

Chi governa deve essere all’altezza dei compiti che si è assunto; chi sta all’opposizione ha il dovere di candidarsi a fare meglio, non a disfare quanto è stato realizzato. La dialettica democratica è questa e proprio intorno ai nostri ragazzi che studiano per costruire il futuro, chi si proclama «classe dirigente» ha l’obbligo, oltre ogni strumentalizzazione, di essere degno del mandato ricevuto democraticamente.

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