Un cambio di passo per il futuro di Stellantis

MONDO. Il mondo politico italiano, destra e sinistra, ha detestato sin da subito Carlos Tavares, l’a.d. di Stellantis che si è dimesso con una buonuscita monstre di 100 milioni di euro.

E proprio qui, da questa cifra così stridente con i risultati raggiunti, che i politici partono per dire, con il segretario della Cisl Sbarra, che il manager portoghese «non ci mancherà» e che la notizia della sua uscita «non ci addolora». Troppe volte Tavares si è permesso di trattare con arroganza il governo e il Parlamento italiani minacciando licenziamenti e chiedendo in cambio incentivi senza nemmeno accettare discussioni anche quando in ottobre era in audizione parlamentare, promettendo l’aumento della produzione in Italia - fino a un milione di automobili - mentre chiudeva impianti (il centro stile della Maserati, forse il più incomprensibile), non apriva quelli promessi (la famosa Giga-Factory di Termoli, rinviata sine die) e gonfiava oltremisura la cassa integrazione negli stabilimenti della Penisola a differenza di quelli francesi, spagnoli, marocchini e serbi. Quindi l’Italia della politica e del sindacato vede aprirsi una nuova possibilità ora che si volta pagina. È quanto si augura Giorgia Meloni assicurando che il governo farà tutto il possibile per difendere l’occupazione e l’indotto.

Centrodestra contro Stellantis e centrosinistra contro il governo

Il comune sentire però si ferma qui perché i partiti sul resto si dividono: il centrodestra va a testa bassa in primo luogo contro Stellantis, l’opposizione invece critica soprattutto il governo. In realtà, tra i partiti di centrosinistra solo Carlo Calenda arriva a chiedere le dimissioni del ministro Urso per aver creduto «alla favola del milione di vetture» ma Urso non risponde al leader di Azione apprestandosi ad aprire il tavolo di confronto già in agenda per metà dicembre con il comitato che gestirà Stellantis nei prossimi lunghi mesi in cui si cercherà il nuovo a.d.

Però tutti gli altri esponenti dell’opposizione criticano «l’immobilismo» di un governo che secondo Giuseppe Conte «appare lontanissimo dagli operai» che temono per il loro futuro. E soprattutto censurano la decisione di cancellare i quattro miliardi e mezzo che in manovra erano destinati a finanziare il Piano automotive (tema su cui però ci potrebbero essere delle novità, stando a quanto ha fatto capire il vicepremier Tajani il quale ha rivelato che il ministro Giorgetti sta valutando il da farsi). Renzi si spinge a proporre una via d’uscita, la fusione con Renault, mentre dal Pd parla Antonio Misiani per chiedere un nuovo piano industriale dall’azienda e il ripristino dei fondi per il sostegno pubblico al settore in crisi dell’automotive.

La richiesta bipartisan che Elkann riferisca al Parlamento

In ogni caso, maggioranza e opposizione chiedono a Elkann di presentarsi in Parlamento a spiegare la situazione e cosa intende fare ora, ma su questo non c’è almeno per il momento alcuna certezza se non quella di un invito formale da parte del presidente Gusmeroli (FdI) della Commissione Attività Produttive della Camera. Si sa soltanto che le dimissioni di Tavares sono state anticipate sia al Capo dello Stato che a Giorgia Meloni: si tratta di un semplice gesto di galateo istituzionale ma in qualche modo forse prefigura un nuovo modo dell’azienda di approcciarsi con la politica.

Però Salvini non esita a dichiararsi «offeso» dalla gestione di John Elkann e degli azionisti, «il cui comportamento non so come commentare», sentendosi disgustato per lo spreco di tanto denaro pubblico «dato nei decenni per miliardi». Fratelli d’Italia invece si concentra soprattutto su Tavares: «Era ora che se ne andasse – si legge in una nota del partito della premier – ma la transizione al nuovo management richiede responsabilità, tutela dell’occupazione e valorizzazione delle competenze».

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