L'Editoriale
Martedì 12 Novembre 2019
Un avvocato
per l’ex Ilva
La linea dei partiti di maggioranza è una sola: Arcelor Mittal è l’unico colpevole di questa situazione. Hanno tutti loro votato una volta a favore e una volta contro lo scudo legale richiesto dai franco indiani e dunque, per difendersi dall’accusa di aver combinato un pasticcio, reagiscono attaccando per slealtà i signori Mittal. Di Maio e Renzi, Zingaretti e Speranza sono concordi su un punto: Arcelor si deve piegare.
Conseguenza diretta di questa unitarietà: ieri i commissari straordinari dell’ex Ilva hanno preparato e probabilmente oggi presenteranno al Tribunale di Milano il ricorso ex articolo 700 del Codice Civile (che stabilisce l’urgenza) contro il gigante dell’acciaio negando che ci possa essere la possibilità giuridica di recedere dal contratto firmato solo l’anno scorso. Se l’atto verrà consegnato oggi, questo avverrà in parallelo con la seconda riunione a Palazzo Chigi tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e il gruppo multinazionale.
Il governo fa di tutto per presentarsi compatto anche sulle controproposte da fare alla famiglia Mittal: disponibilità a reintrodurre lo scudo penale solo se viene ritirata la richiesta di esuberi e la diminuzione della produzione a quattro milioni di tonnellate; proroga per l’altoforno2 che la magistratura sta per sequestrare dopo aver dato un tempo strettissimo per il suo rinnovamento ambientale, e la possibilità di uno sconto sul canone che attualmente la multinazionale paga per gestire la fabbrica di Taranto e le altre collegate in giro per l’Italia. È la base della trattativa su cui Conte, facendosi forte della sua esperienza di avvocato d’affari, punta per ottenere che Arcelor-Mittal non lascino Taranto.
Peccato però che il capo del primo partito della coalizione, Di Maio, ha ripetuto che di reintroduzione dello scudo fiscale non vuole sentir parlare. A giudicare dalla sicurezza ostentata da Conte, però, è probabile che Di Maio non insista più di tanto sul suo «niet», come del resto ha fatto più volte in passato.
Ieri il segretario confederale della Cgil Landini glielo ha rinfacciato: «L’ha firmato lui l’accordo con gli indiani e c’era dentro anche lo scudo penale. Non se ne è accorto, o dormiva quella notte?». «E se dopo – ha continuato – ha cancellato la norma, lo ha fatto solo per ragioni elettorali».
Insomma, se Conte riuscisse ad impannucciare bene il compromesso con la controparte mettendoci dentro uno scudo magari dandogli un nome diverso, Di Maio non se la prenderebbe più di tanto. A patto però che non ci siano fughe in avanti e protagonismi, come quello di Matteo Renzi che ha annunciato di voler presentare nelle prossime ore un emendamento per la reintroduzione dell’immunità. Anche il Pd ha pronto un testo simile ma aspetta, per presentarlo, di vedere come vanno le cose, e Delrio sta premendo su Renzi perchè stia fermo.
Naturalmente c’è sempre l’ipotesi della nazionalizzazione della fabbrica che piacerebbe tanto ai grillini, a LeU e a Landini ma non al ministro dell’Economia Gualtieri che ieri si è pronunciato decisamente contro («È una pericolosa illusione») salvo però non escludere un intervento della Cassa Depositi e Prestiti, il forziere pubblico già presente nella cordata Acciaitalia con l’altro gruppo indiano, Jindal, e che perse la gara con Arcelor Mittal.
La situazione insomma è molto intricata, i partiti ci hanno messo del loro per rendere le cose ancora più difficili e i franco-indiani giocano al rialzo in maniera molto spregiudicata, ma non è ancora detta l’ultima parola: ora tutti si affidano a Conte sperando nella sua abilità avvocatesca. Se il presidente del Consiglio facesse il miracolo compirebbe un passo in più sulla strada che lo porta alla sostituzione di Di Maio.
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