Ultimatum sul Pnrr, poi si rischia l’emergenza

LE RIFORME. Abbiamo tutti interesse a che non scoppi in modo clamoroso un caso Pnrr. Per questo, da mesi, si accettano pazientemente le rassicurazioni in tv sulla sua attuazione.

Il ministro dell’economia, a giugno, aveva garantito «ad horas» il versamento della terza rata di fine anno scorso, ma ora è prevista per ottobre, mentre la quarta slitterà almeno sei mesi. I soldi europei non spesi potrebbero nel frattempo finanziare l’attività ordinaria, ma se non arrivano la cassa piange, i cantieri si fermano e il debito aumenta (20 miliardi). Giancarlo Giorgetti sarà forse un po’ troppo politicamente debole nel far comprendere al suo partito le necessità del realismo, ma è una persona seria, che ha affiancato con autorevolezza Mario Draghi. Per questo, gli avevamo creduto, rassicurati. Ma ora i mesi e i giorni stanno passando e vale anche per lui il preultimatum che ha fissato al 18 luglio la prova della verità. Se anche quella data passerà senza novità, bisognerà davvero cominciare a preoccuparsi. L’Italia rischia una figuraccia europea, diciamo addirittura planetaria, perché il nostro Paese viene subito dopo gli Usa (Inflation reduction act) per abbondanza di nuove risorse finanziarie potenziali. Vogliamo essere fiduciosi, ma i dati sono scoraggianti. L’apporto finanziario del Recovery vale almeno il 10% del Pil. C’è, ma non lo spendiamo. Per il 2023 ci sarebbero 33,8 miliardi (44 il prossimo anno). Se ne spendiamo il 30% in meno (e sarebbe un successo) il Pil collegato non crescerà del 1,2%, ma della metà, 0,6%. Al ritmo oggi prevedibile, l’apporto di ben 191 miliardi di cui 69 regalati, sarà il vecchio zero virgola.

Mettendo le mani avanti a nome di una «cabina di regia» che ci ha messo mesi per nascere, il ministro Fitto ha dichiarato soli 10 obiettivi raggiunti su 37 per chiedere la quarta rata. Miliardi spesi: poco più di uno su 30, con la sanità che ha speso solo un miliardo in due anni (!). Quanto alla terza rata, è bloccata perché Bruxelles avrebbe scoperto che qualcuno ha fatto il furbo sull’autocertificazione dei nuovi posti letto per gli studenti. Si tenga conto del fatto che ancor prima di cominciare, l’Ue ci ha prefinanziati e dunque il volano di 25 miliardi anticipati ha cominciato a girare presto, ma dobbiamo detrarlo dai pagamenti in attesa.

In tutto, abbiamo ricevuto 67 miliardi e ne abbiamo spesi 30, quasi tutti nel periodo Draghi, che aveva però il compito più semplice, evitando i bandi. Lavorava su grossi numeri ed era più facile «fatturare». Ora ci siamo infilati in una montagna di 155mila bandi sparpagliati ovunque, 133mila di importo inferiore al milione di euro. Bello in apparenza, ma abbiamo forse illuso migliaia di sindaci. Insomma, un Pnrr distribuito al dettaglio, spezzettato. Forse dovremo passare all’ingrosso ma solo le grandi imprese potranno gestire grandi spese. Fa pensare che alla fine si arriverà a privatizzare (lo spettro del neoliberismo…) e correre, come per l’Expo e il ponte Morandi. A questo si aggiunge il problema politico, perché il Piano deve distillare riforme e le riforme sono testarde, non resilienti.

Basta vedere la questione concorrenza, con le corporazioni che stanno ancora vincendo. Quella dei balneari o oggi scandalosamente - nelle grandi città - quella dei taxi. Provate a prendere un taxi a Roma, per non parlare della spazzatura, che nella Capitale è a un passo dall’emergenza sanitaria. Il sindaco Gualtieri vuole il termovalorizzatore contro il suo stesso partito, il Pd, ma non si decide la localizzazione (è il «Nimby», bellezza) e i rifiuti viaggeranno tra un po’ anche in Freccia Rossa, destinazione Paesi e città lungimiranti.

Stando ben zitti sull’immigrazione raddoppiata, all’opinione pubblica si offrono nel frattempo scaramucce su questioni laterali. Se non c’è il fascismo da evocare, c’è qualche reato su cui rafforzare la pena e chiudere l’emozione del giorno. Colpa nostra, però, se pensiamo che il Pnrr è cosa per addetti ai lavori. Li dentro c’è la nostra vita quotidiana: salari, scuola, sanità, demografia, infrastrutture fisiche e culturali. Nelle revisioni della terza rata ci sono asili nido, lavoro femminile, idrogeno, terremoti. È proprio robetta?

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