L'Editoriale
Mercoledì 14 Novembre 2018
Ue, braccio di ferro
e vie d’uscita
Dopo la bocciatura della nostra Legge finanziaria da parte della Commissione europea, si sta assistendo ad un vero e proprio braccio di ferro tra le parti. L’Europa chiede interventi di modifica al provvedimento, criticato per l’eccessiva spesa per consumi e la mancanza di una strategia di sviluppo. Il governo, attraverso il presidente del consiglio Conte e i due vice presidenti Salvini e Di Maio, auspica un confronto ma si dichiara indisponibile a qualsiasi cambiamento. Più possibilista è il ministro del Tesoro Tria, che avverte il pericolo rappresentato dall’andamento dello spread tra Bond italiani e tedeschi che si aggira da tempo intorno ai trecento punti base.
La sua preoccupazione è originata soprattutto dalla situazione critica che si sta venendo a determinare per i bilanci delle maggiori banche italiane. Il minor valore dei titoli pubblici detenuti in larga misura nei loro portafogli, contabilizzati ai prezzi di mercato, si riflette sul calcolo del coefficiente patrimoniale, rendendo necessarie ricapitalizzazioni al momento assai problematiche.
Ad aggravare la situazione concorre la scadenza al 31 dicembre del «quantitative easing», con il quale la Bce ha provveduto all’acquisto di notevoli quantità di titoli pubblici dei vari Paesi europei. Ciò renderà sempre più complesso e costoso il collocamento del nostro debito pubblico. Il principio di Mario Draghi «Whatever it takes» (qualunque cosa sia necessaria) per salvare la zona euro, sembra ormai superato, anche se lo stesso Draghi ha fatto intravvedere parimenti per il 2019 la possibilità di rinnovo di titoli in scadenza se l’inflazione dovesse permanere al di sotto della zona rossa del 2%. Oltre questa soglia, infatti, la Germania, tradizionalmente preoccupata dall’inflazione, non intenderà tollerare altri interventi. Del resto, la stessa Germania e l’Austria sembrano i Paesi più severi rispetto alle recenti posizioni assunte dal governo italiano. Pur non auspicando l’uscita dell’Italia dall’euro, il primo ministro austriaco ha recentemente dichiarato: «Non possiamo sempre essere ricattati. L’Italia deve scegliere una politica di rigore finanziario, visto il suo enorme debito pubblico, al posto di una politica di spesa».
Di un’eventuale possibile uscita parla invece Hans Werner Sinn, presidente dell’Ifo, il più autorevole istituto economico tedesco. In una recente intervista ha manifestato una certa insofferenza rispetto ai rischi che l’Italia potrebbe far correre al resto della comunità europea. La sua principale preoccupazione, proprio in relazione all’andamento dello spread con la Germania, è un’eventuale crisi bancaria italiana cui dovrebbero far fronte gli altri Stati europei. Per queste ragioni l’economista, prefigurando una Italexit, ha dichiarato: «La verità è che siamo arrivati in un vicolo cieco, dove non ci sono vie d’uscita più convenienti». Nella stessa intervista Werner ha fatto intendere che in Germania si sta lavorando ad un piano B, cioè ad una soluzione con un euro forte circondato da valute nazionali negli Stati del sud Europa. In questo scenario, che in ogni caso richiederebbe lunghe procedure attuative, all’uscita dell’Italia seguirebbero quelle di Portogallo, Spagna e Grecia.
In contrapposizione alle tesi avanzate da Werner, il nostro ministro per i rapporti con l’Europa Paolo Savona ha redatto un documento, recentemente presentato alla Commissione europea, nel quale auspica che alla Bce venga riconosciuto, come ad ogni Banca centrale, il ruolo di prestatrice di «ultima istanza», cioè di garante del debito pubblico di tutti gli Stati dell’area euro. Tale soluzione, condivisa solo da alcuni governi sovranisti dell’Est Europa, non sarebbe tuttavia accettata dai Paesi del Nord, le cui economie crescono di più e hanno debiti più contenuti.
Da qui la grande importanza delle elezioni europee della prossima primavera. Dai nuovi equilibri politici che si determineranno nei vari Paesi dipenderà un nuovo e migliore assetto dell’Europa, piuttosto che il suo progressivo disfacimento. Le conseguenze di questa seconda ipotesi, al di là dei proclami e degli attuali giochi delle parti politiche, condurrebbero ad un insidioso salto nel buio anche i Paesi europei oggi in grado di fare la voce grossa.
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