Ucraina priva di aiuti Usa, Putin accelera

MONDO. La scorsa settimana gli Stati Uniti hanno bloccato gli aiuti militari e la collaborazione dell’intelligence all’Ucraina. Ma la Russia non ha fermato i quotidiani bombardamenti su abitazioni e infrastrutture vitali. Anzi, li ha intensificati di dieci volte

Negli ultimi cinque giorni raid su Kryvyi Rih, Kharkiv, Kiev e Odessa hanno provocato la morte di una settantina di persone. Colpita anche la città di Donetsk, nel Donbas che Vladimir Putin dichiarò di voler difendere con l’«operazione militare speciale» avviata il 24 febbraio 2022. L’emissario di Donald Trump per i rapporti con Kiev, l’ex generale Keith Kellogg, ha definito il blocco come una «bastonata sul muso del mulo» per fare capire che «nessuno può contraddire il presidente americano nello Studio Ovale». Ma il mulo è un popolo che da tre anni subisce attacchi missilistici nei luoghi di vita (abitazioni, sedi di lavoro, scuole, ospedali) e crimini di guerra.

Usa in dialogo con Mosca

Gli Usa nella versione trumpiana hanno riaperto le comunicazioni con Mosca e vogliono raggiungere un accordo di pace ma finora nella mediazione hanno assunto una postura tutt’altro che super partes, sposando le tesi di Putin sulle responsabilità del conflitto. Un fedele alleato non neutrale: nonostante questa grande novità, il conflitto russo in Ucraina non si ferma ma si intensifica, sugli obiettivi civili in tutto il Paese invaso e lungo i 1.200 chilometri del fronte nell’est e nel sud. Decade così la tesi della guerra per procura, combattuta da Washington contro la Russia per il tramite di Kiev. Una tesi zoppicante già in origine perché nei suoi 34 anni di indipendenza e sovranità l’Ucraina non ha compiuto un solo atto militare ostile, una sola provocazione nel territorio confinante. E la conferma arriva in questi giorni: il blocco degli aiuti americani non congela il conflitto e, vista la superiorità militare russa in armi e soldati, Putin potrebbe tentare la spallata. Non una guerra per procura ma per procurarsi l’intera Ucraina, già smembrata e derubata del 20% di territorio, in ossequio al progetto dichiarato di riunificarla alla Bielorussia, alleata di ferro di Mosca e base per attacchi contro lo Stato aggredito.

Al Cremlino andrebbe chiesto di riconoscere la sovranità ucraina, sancita in trattati siglati proprio da Mosca nel 1991, 1994 e 1998. E garanzie di sicurezza non dettate dall’aggressore. Sarebbe il minimo, per giustizia

La posizione di Kiev

Kiev ora si trova nella tenaglia di tre imperi, quello russo ostile, quello americano non più amico e quello cinese alleato del Cremlino. Spera nell’imprevidibilità di Trump, nei suoi cambi di umore e quindi di posizionamento. Intanto oggi a Riad è in programma un vertice fra le delegazioni ucraina e statunitense. In un’altra città dell’Arabia Saudita, a Gedda, ieri Volodymyr Zelensky ha incontrato il principe ereditario Mohammed bin Salman. Il presidente ucraino ha proposto una tregua nei cieli e nel mare come primo passo verso un accordo più ampio con la Russia. L’obiettivo a breve tempo è riottenere gli aiuti militari americani e la vitale condivisione dell’intelligence, informazioni che permettono di intercettare i missili in partenza e non quando ormai vicini all’obiettivo, senza più il tempo per la popolazione di andare a proteggersi nei rifugi anti aerei.

Kiev ora si trova nella tenaglia di tre imperi, quello russo ostile, quello americano non più amico e quello cinese alleato del Cremlino

Trump ha ribadito, con i toni paternalistici che riserva a Kiev, che il Paese invaso deve mostrarsi «serio» nelle trattative di pace perché «non ha le carte». Per carte intende la superiorità militare, i rapporti di forza privilegiati nella logica muscolare del tycoon, esecutore testamentario di quel poco che rimaneva del diritto internazionale. Il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha ribadito che l’obiettivo dell’incontro di oggi è «stabilire chiaramente le intenzioni dell’Ucraina» sulla pace e avere la certezza che Kiev «sia pronta a fare cose difficili, come faranno i russi». In queste dichiarazioni trapela almeno una posizione di «par condicio», sebbene lo Stato invaso, smembrato e il suo popolo dovrebbero avere la priorità. Al Cremlino andrebbe chiesto di riconoscere la sovranità ucraina, sancita in trattati siglati proprio da Mosca nel 1991, 1994 e 1998. E garanzie di sicurezza non dettate dall’aggressore. Sarebbe il minimo, per giustizia.

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