Ucraina, l’incontro cruciale è con il Papa

ESTERI. Chi sta leggendo queste note deve essere consapevole di vivere una mattinata che potrebbe anche fare la storia. Il presidente ucraino Volodymyr Zelens’kyj è a Roma dove vedrà la premier Meloni e il presidente Mattarella ma dove, soprattutto, dovrebbe incontrare Papa Francesco.

Non ce ne vogliano le alte cariche dello Stato ma il punto cruciale è oltre Tevere. Non solo perché il Papa è uno, il suo carisma spirituale si estende ben oltre i confini delle nazioni e la sua credibilità valica anche i limiti delle appartenenze religiose. Nel caso specifico, perché Francesco è forse l’unico personaggio del panorama internazionale che, parlando del «martoriato popolo ucraino» e dell’invasione russa, si sia sempre detto interessato solo alle ragioni della pace. E che si sia detto pronto a lavorare per raggiungerla, andando a Kiev se gli fosse poi stato possibile andare anche a Mosca, sfidando così entrambe le leadership dei Paesi in guerra a mostrare disponibilità all’ascolto.

L’ex attore Zelens’kyj si è mostrato in questi anni leader coraggioso e accorto. Troppo accorto per non rendersi conto che, se decide di salire le scale del Vaticano, in qualche modo varca una soglia che gli sarà poi difficile rimontare. Lo diciamo in estrema e forse un po’ brutale sintesi: non si va dal Papa per dirgli che la guerra è l’unica soluzione. E l’accurato silenzio che Mosca mantiene nell’occasione dimostra che anche il Cremlino osserva con attenzione questa giornata.

Molti elementi, peraltro, concorrono a farci credere che questo potrebbe essere il momento adatto per avviare un negoziato che, di certo, avrebbe tempi lunghissimi ma che intanto metterebbe un freno ai massacri sul terreno. Intanto si sta muovendo anche la Cina, che potrebbe dire una parola importante alla Russia. L’inviato speciale di Xi Jinping per gli affari eurasiatici, Li Hui, sarà in Europa a partire dal 15 maggio. Visiterà Ucraina, Polonia, Francia, Germania e Russia, ed è chiaro quale sarà il tema dei suoi incontri. Ma è al campo di battaglia che bisogna guardare.

Da mesi, ormai, viene annunciata una controffensiva ucraina che però stenta a materializzarsi. Il comandante delle forze Nato in Europa, generale Christopher Cavoli, ha detto che Kiev ha ricevuto il 96% delle armi promesse. Il Regno Unito ha fornito i proiettili a uranio impoverito e i missili da crociera Storm Shadow, che possono colpire a 1.500 chilometri di distanza e costano un milione di euro l’uno. I generali ucraini dicono di avere una gran quantità di uomini. Eppure l’attacco ancora non parte. Questo succede perché Zelens’kyj sa che, dal punto di vista militare, l’offensiva è la sua ultima e unica carta. Una specie di all in per vincere o perdere tutto.

Per parte sua anche la Russia mostra chiari sintomi di indecisione, anzi di stanchezza. Per attaccare l’Ucraina si è isolata rispetto all’Occidente, ha affrontato costi enormi, ha visto fuggire all’estero miliardi e, soprattutto, migliaia e migliaia dei giovani più istruiti e preparati. Ha annesso quattro regioni strappandole all’Ucraina, ma tenerle e ricostruirle è un’impresa durissima. In più, l’anno prossimo si vota per rieleggere il presidente, e Putin ha bisogno di proclamare vittoria, cosa quasi impossibile, o almeno di dire che la guerra è finita.

Bisogna tornare indietro di un anno, alla primavera del 2022 in cui già fu chiaro che nessuno poteva davvero vincere, per trovare un momento come questo, in cui il negoziato pare non solo possibile ma anche logico, naturale. Che da allora sia passato un anno così crudele ci dice che la logica, come la verità, muore subito in guerra. Però l’impegno del Papa porta la speranza, l’elemento che muove tutto.

© RIPRODUZIONE RISERVATA