L'Editoriale
Domenica 07 Agosto 2022
Ucraina, grandi esodi e strade di speranza
C’è un dato sottovalutato nella lettura del conflitto russo-ucraino: è quello relativo al numero di persone in fuga dal Paese invaso. Ammontava a 2,8 milioni già a un solo mese dall’inizio del conflitto. L’Alto commissariato Onu per i rifugiati lo definì «l’esodo più veloce in Europa dalla Seconda guerra mondiale». Nonostante un consistente numero di rientri soprattutto a Kiev e nelle cittadine limitrofe, ad oggi i profughi ucraini sono stati 10.350.489. Altri 8 milioni di persone sono sfollate all’interno del Paese, che ha 40 milioni di abitanti.
Si stima poi che in 15,7 milioni abbiano urgente bisogno di protezione e assistenza umanitaria. Ma perché una fuga così imponente e veloce? La risposta è tanto semplice quanto tragica: la brutale aggressione dell’esercito di Mosca a uno Stato sovrano e indipendente è in particolare una guerra contro i civili per liberare territori e avviare i percorsi di annessione e di russificazione. È successo a Mariupol, sta accadendo nel Donbass e nell’Oblast (regione) di Zaporižžja: è da qui che arrivano i profughi più recenti, oltre che da Odessa, in bilico tra la resistenza e gli artigli del Cremlino. Il governo di Kiev ha lanciato un appello ai civili non russofili perché abbandonino città e villaggi della Repubblica di Donetsk (nel Donbass). I militari di Mosca fanno un ampio uso dell’artiglieria, distruggono edifici e case per seminare il terrore e costringere la popolazione a scappare.
Il conflitto d’attrito si sta incanagliendo, anche verbalmente. Nei giorni scorso l’ambasciata russa in Gran Bretagna ha scritto il seguente tweet: «I militari (ucraini, ndr) del battaglione Azov meritano l’esecuzione, la morte non per fucilazione ma per impiccagione, perché non sono veri soldati. Meritano una morte vergognosa». Non c’è più pietà né diplomazia. Un militare ucraino prigioniero di guerra è stato invece evirato da un combattente russo e poi ucciso. L’omicida è comparso anche altre volte in alcuni video girati un mese fa durante la conquista di Severodonetsk e fa parte del reparto Akhmat formato da volontari che si arruolano e vengono addestrati in Cecenia. Il video dell’uccisione ha avuto molte visualizzazioni sulla piattaforma Telegram nella versione russa, una condivisione dell’orrore che mette i brividi.
Intanto in un rapporto Amnesty International accusa le forze ucraine di aver messo in pericolo la popolazione civile: le basi militari allestite in aeree residenziali, comprese scuole e ospedali, violerebbero il diritto internazionale umanitario. Accuse ovviamente respinte da Kiev. Ma la tensione sale anche per una notizia da gelare i polsi: uno dei reattori della centrale nucleare di Zaporižžja, sotto il controllo del Cremlino, è stato spento. Il bombardamento di venerdì scorso ha causato un grave rischio per il funzionamento sicuro dell’impianto, «ormai fuori dal nostro controllo» come ha dichiarato l’Agenzia internazionale per l’energia atomica.
Non ci sono però solo le tenebre della violenza. Ieri Papa Francesco ha ricevuto l’ambasciatore dell’Ucraina presso la Santa Sede, Andrii Yurash. Hanno parlato anche di un possibile viaggio del Pontefice a Kiev, come segno di vicinanza a un popolo martoriato ma anche come occasione per parlare al cuore di chi ha il potere di decidere perché si raggiunga almeno una tregua e avviare poi un negoziato, abbandonando ambizioni ciniche di potere. Il presidente turco Recep Erdogan, che ha rubato la scena ai leader mondiali, sta invece lavorando a un incontro tra i suoi omologhi, il russo Vladimir Putin e l’ucraino Volodymyr Zelensky. È una flebile speranza perché cessi la guerra, ma non abbiamo altro a cui aggrapparci fra tanto orrore.
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