Ucraina, gli errori politici e il dolore

Ben vengano le immagini che riportano le nostre coscienze alla cruda realtà della guerra in Ucraina, che spesso finisce occultata dalle analisi degli strateghi e dalle grida dei tifosi.

Le fotografie con i corpi dei soldati russi ammassati per strada sono state usate dagli ucraini per le loro strategie di comunicazione, ma dovevano essere viste, e qualcuno le avrà viste anche in Russia. Così come le lacrime di Yulija e Katerina, le mogli di due alti ufficiali del Battaglione Azov intrappolati nell’acciaieria Azovstal di Mariupol’ assediata dai russi. Nonostante i tentativi speciosi di restaurare la loro figura pubblica, quelli dell’Azov sono militanti neonazisti, anche se combattono per difendere il loro Paese invaso. Nella lettera che le mogli hanno consegnato al Papa, c’è una richiesta analoga a quella già avanzata da Onufrij, primate della Chiesa ortodossa ucraina-Patriarcato di Mosca, ovvero di risparmiare i soldati dell’Azov e trasferirli in un Paese terzo. I russi non accetteranno mai, sanno che da questo «Paese terzo» sarebbero presto rimpatriati e da Kiev rimandati al fronte.

Ma il dolore delle mogli e dei figli è sacro, va rispettato. Vale quello delle madri dei soldati di leva che Mosca mandò all’attacco nei primi giorni, o quello di qualunque civile innocente che, in Afghanistan come in Iraq, in Siria come nello Yemen, sia stato investito da una violenza come questa.Intanto, sul campo, il conflitto prosegue e sempre più azzeccato pare il giudizio espresso qualche giorno fa dagli analisti militari del Pentagono: per ora né vinti né vincitori in una guerra che sta ormai diventando di lunga durata. A Nord, sul fronte di Khar’kiv, gli ucraini hanno riguadagnato molto terreno e con le truppe ormai lambiscono il confine con la Russia.

È difficile capire se si sia trattato di un’avanzata ucraina o di una ritirata russa, forse un po’ di entrambe, anche perché poco più a Sud, nella direzione di Izyum, i russi continuano a premere per conquistare terreno. In questo momento, però, lo scontro più importante è quello che si svolge tra la costa e le acque del Mar Nero intorno all’Isola dei Serpenti, dove i russi stanno cercando di insediare batterie di missili che potrebbero loro assicurare il controllo dello spazio marittimo e intanto agevolare, sulla terra, un’eventuale avanzata da Kherson, già occupata, verso Mikolayiv e infine Odessa.

E mentre la linea del fronte si mantiene mobile e indefinita, crescono le tensioni internazionali. Il premier inglese Boris Johnson vola a Stoccolma e a Helsinki per firmare con Svezia e Finlandia un accordo di reciproca protezione prima dell’ingresso, ormai imminente, dei Paesi nordici nell’Alleanza Atlantica. Una mossa, quella dei due vicini della Russia, emotivamente giustificabile ma politicamente meno comprensibile, visto che esiste già una stretta partnership di Svezia e Finlandia con la Nato, e il Regno Unito, russofobico per storia e anti-putiniano per scelta anche prima di questa guerra, è il Paese giusto per eccitare le diffidenze e i rancori della Russia.

Mentre sull’altro lato della barricata, la Bielorussia vara una speciale mobilitazione di truppe d’assalto al confine Sud, tra Ucraina e Polonia. Motivazione ufficiale: rispondere alle recenti esercitazioni Nato in Polonia. Ragione vera: costringere gli ucraini a guardare anche quell’area e impegnare lì, anche senza combattere, parte delle loro truppe.

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