Ucraina, due anni fa l’invasione: le ferite da curare

IL COMMENTO. All’alba del 24 febbraio 2022, battaglioni ed elicotteri russi avviavano l’invasione su larga scala dell’Ucraina. Su scala minore era iniziata nel 2014. In questi giorni il popolo aggredito ha ricordato un’altra ricorrenza: quello che non pochi in Occidente chiamano «colpo di Stato di piazza Maidan eterodiretto dagli Usa», per gli gli ucraini fu invece la «rivoluzione della dignità».

Non c’è città nello Stato invaso che non abbia una piazza o una via Maidan (la parola significa indipendenza). Del resto come si sarebbero potute eterodirigere centinaia di migliaia di persone che scesero in piazza? La miccia della rivolta fu la mancata firma del Trattato di associazione all’Ue da parte dell’allora presidente Viktor Janukovyč: fu eletto perché l’adesione al Trattato era nel suo programma. Ma dopo aver trascorso una settimana a Mosca, rinnegò l’impegno preso. La rivoluzione scoppiò nel novembre 2013 e fu soppressa definitivamente il 20 febbraio 2014, lasciando nella piazza un centinaio di morti. Janukovyč fu poi destituito dal voto del Parlamento ucraino e scappò in Russia, dove vive nell’agiatezza. La risposta di Mosca non tardò: lo stesso 20 febbraio iniziò l’occupazione militare della Crimea, poi annessa illegalmente nonostante godesse di un’ampia autonomia, il 6 aprile scoppiò la rivolta dei separatisti del Donbass sostenuti dal Cremlino.

Due anni dopo, gli effetti sulla popolazione dell’invasione su larga scala sono drammatici. Secondo i dati di Onu, Unhcr, Unicef, Oms, Croce Rossa internazionale, Medici senza frontiere e Save Ukraine, in due anni ha provocato: 12.500 vittime civili, ma le stime arrivano a 100mila perché migliaia di persone sono disperse, 20mila solo da Mariupol, dove immagini satellitari hanno documentato migliaia di tombe senza nome nei campi; 19mila minori trasferiti in Russia contro la loro volontà; le grandi fosse comuni di Bucha e Izyum; otto milioni di profughi e sei milioni di sfollati (un ucraino su tre non vive più nella propria casa); sei milioni di nuovi poveri; 1,5 milioni di bambini in cura per disturbo da stress post-traumatico; 231mila edifici e infrastrutture civili distrutti o gravemente danneggiati, comprese 3.800 scuole e 1.552 strutture sanitarie, e poi università, biblioteche, musei e chiese; l’Ucraina è il Paese più minato al mondo (un terzo del territorio); 5.238 missili e droni esplosivi su città e villaggi lontani dal fronte; l’annessione illegale alla Russia del 20% del territorio dove veniva prodotto il 25% del Pil ucraino: qui, carcerazioni arbitrarie, torture e sparizioni, chi non prende la cittadinanza russa perde lavoro, pensione e assistenza sanitaria.

Il conflitto prosegue, senza vedere all’orizzonte una soluzione negoziale. La controffensiva ucraina via terra è fallita (mentre ha permesso di riprendere il controllo di una parte del Mar Nero) anche perché Kiev ha ricevuto un terzo del sostegno militare richiesto mentre Mosca non deve confrontarsi con gli «ostacoli» delle procedure democratiche ed ha portato le spese militari al 7% del Pil, allestendo un’economia di guerra, importando migliaia di droni esplosivi dall’Iran e un milione di colpi d’artiglieria dalla Corea del Nord.

L’eccidio del 7 ottobre perpetrato da Hamas in Israele e la successiva guerra di Gaza hanno sprofondato il mondo in un ulteriore gorgo di violenza. Il presidente russo Vladimir Putin si erge a promotore dello Stato palestinese, mentre distrugge un altro Stato, quello ucraino, e resta alleato di Tel Aviv (per non irritare Mosca, il governo Netanyahu non ha fornito gli scudi antimissile richiesti da Kiev). Come condizione per avviare una trattativa e fermare l’invasione, il Cremlino vuole il riconoscimento dei territori annessi illegalmente. L’Ucraina chiede invece il ripristino dei confini del 1991 riconosciuti dall’Onu e da Mosca. Le posizioni restano inconciliabili. Fra la popolazione che subisce le pene dell’invasione, una componente molto minoritaria sarebbe disponibile a cedere terre in cambio della pace, più consistente la quota di chi è a favore di un congelamento del conflitto ma con forti garanzie di sicurezza. Si attende anche l’esito del voto negli Usa: una possibile vittoria di Donald Trump potrebbe cambiare il quadro internazionale, a svantaggio di Kiev. In questa epoca tragica, di fondamentalismi armati e di revanscismi, pace giusta e rispetto del diritto internazionale sembrano utopie, non solo in Ucraina. Ma serve la tenacia di continuare a difendere i soli principi che possono salvarci dall’abisso.

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