L'Editoriale
Giovedì 10 Marzo 2022
Ucraina, balletto della diplomazia
Quel che più conta è ciò che accade in Ucraina. E lì si continua a morire, dall’ospedale pediatrico di Mariupol’ colpito dalle bombe ai caduti tra i soldati russi, cui le spietate leggi della propaganda di guerra negano persino un funerale alla presenza dei parenti. Molti dicono che l’offensiva russa
sta andando male ma intanto l’assedio alle città, agli insediamenti industriali,
ai porti e alle centrali nucleari prosegue, inesorabile. Per ora non si vedono segni di cedimento in Russia e, soprattutto, nel sistema di potere che segue Putin.
Le sanzioni cominciano a mordere ma forse non abbastanza per spingere la Russia profonda a seguire le avanguardie borghesi, liberali e cosmopolite di Mosca e San Pietroburgo, le prime a patire la disconnessione (economica, politica e culturale) dall’Occidente. Oggi il ministro degli Esteri ucraino Kuleba incontra in Turchia l’omologo russo Lavrov. Entrambi hanno già dichiarato di non aspettarsi molto. D’altra parte le richieste della Russia (rinuncia alla Crimea e al Donbass, neutralità garantita con un trattato) sono quelle di sempre, irricevibili da un’Ucraina che resiste sperando nel crollo interno del nemico.
Quella di ieri, a ben vedere, è stata la giornata dello sconcerto occidentale. Dalla Casa Bianca alle cancellerie in Europa, molti forse si erano illusi che fosse più facile piegare una Russia che giorno dopo giorno si avvicina al default, cioè all’impossibilità di pagare i debiti e di onorare gli impegni. Uno sconcerto militare, innanzitutto. Zelensky, da Kiev, invoca un maggiore impegno da parte dell’Occidente e soprattutto una no fly zone che annullerebbe la superiorità aerea del nemico. A nessuno però sfugge che in quel modo la possibilità di uno scontro aperto con i russi crescerebbe a dismisura, aprendo la strada a un conflitto che potrebbe diventare mondiale. Il balletto sugli aerei tra Usa e Polonia (li mandiamo, no, non li mandiamo, vi diamo i nostri e voi mandate i vostri…) è stato emblematico. Ma lo sconcerto riguarda anche le sanzioni. Ne servono altre, a quanto pare, così Usa e Regno Unito bloccano le importazioni del greggio russo, ben sapendo peraltro di poterne tranquillamente fare a meno. Ben diverso il discorso per gli europei, che infatti non battono quella strada.
In questo stallo generale, che lascia soli gli ucraini, trovano spazio i giochi della diplomazia. La guerra scatenata dalla Russia è anche un’occasione per ridisegnare gli equilibri internazionali e molti cercano di approfittarne. La Cina conferma la sua linea. Con la Russia per tutto ciò che serve a ostacolare gli Usa, per esempio anche annunciando l’intenzione di aumentare gli acquisti di gas e petrolio da Mosca o di voler investire in Gazprom e nelle altre corporation russe dell’energia. Più prudente sul terreno specifico, perché l’Ucraina era fino a ieri un buon partner commerciale e perché la guerra di Putin disturba l’unica vera stabilità a cui i cinesi tengono: quella dei flussi e delle vie del commercio.
È un modo, per Pechino, per inserirsi nel grande gioco diplomatico. Disponibile a portare in dote il buon rapporto con Mosca e a lavorare con Francia e Germania per una tregua, il che vuol dire: faccio io, con l’Europa, ma gli Usa si tengano lontani. Usa che intanto giocano altre carte. In cerca di petrolio non russo, avvicinano persino il presidente venezuelano Maduro, che fino a poche settimane fa trattavano da dittatore e cercavano di scalzare. Maduro, allora salvato anche dall’appoggio russo, ora dichiara che vanno bene anche gli Usa, purché arrivino con tanti dollari.
Allo stesso scopo Joe Biden cerca di contattare l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, per convincerli ad aumentare la produzione di petrolio. Questi rispondono picche perché nemmeno gli parlano, e dicono che resteranno fedeli agli accordi dell’Opec+, cioè alle quote di produzione decise insieme con la Russia. Di certo le petromonarchie del Golfo Persico non vogliono abbandonare il tradizionale alleato americano, ma intanto gli fanno capire quanto poco soddisfatte siano dell’ormai imminente accordo tra Usa e Iran sul nucleare iraniano. Anche questo tocca all’Ucraina: servire da schermo per interessi che nulla hanno a che vedere con le sofferenze del suo popolo.
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